l\'enactment nella relazione terapeutica PDF

Title l\'enactment nella relazione terapeutica
Author Martina Chiarenza
Course Scienze e tecniche psicologiche
Institution Università degli Studi di Enna Kore
Pages 35
File Size 183.6 KB
File Type PDF
Total Downloads 90
Total Views 144

Summary

Download l'enactment nella relazione terapeutica PDF


Description

L’ENACTMENT NELLA RELAZIONE TERAPEUTICA CARATTERISTICHE E FUNZIONI Giuseppe Craparo

INTRODUZIONE L’enactment è una messa in atto, da parte del paziente, di memorie traumatiche depositate in aree disaggregate del proprio Sé che fanno risuonare nell’analista contenuti protopsichici del proprio inconscio, determinando una temporanea dissociazione corpo-mente. Al di là del diverso modo di intendere l’enactment, concordiamo tutti che si tratti di una comunicazione inconscia fra analista e paziente: ma a quale tipo di inconscio possiamo fare riferimento? L’idea sviluppata in questo volume è che ci possiamo riferire all’inconscio non rimosso.

L’inconscio freudiano È indubbio che il concetto di inconscio rappresenti il fulcro della teoria psicoanalitica freudiana. Questo, tuttavia, non toglie spazio alle riflessioni sull’inconscio, soprattutto alla luce delle recenti scoperte neuro scientifiche e delle esigenze cliniche a cui siamo chiamati dalle psicopatologie non nevrotiche, che sembrano aver messo sotto scacco la convinzione che i sintomi originino esclusivamente da complessi psichici rimossi. Fra le recenti riflessioni vi è quella, originariamente formulata ma non sviluppata da Freud, che riguarda l’esistenza di un inconscio non rimosso, un inconscio che si distingue da quello rimosso per ragioni di ordine funzionale, evolutivo e processuale.

La riflessione e la ricerca su questo tipo di inconscio aprono la strada non solo alla possibilità di intervenire efficacemente in quelle psicopatologie caratterizzate più da un deficit che da un conflitto, ma anche alla formulazione di una teoria della mente che tenga conto dell’incidenza che sullo sviluppo psichico della persona ha il mondo dell’affettività. Le caratteristiche dell’inconscio delineato da Freud sono tre: dialettica, simbolico-verbale ed etica. Natura dialettica In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud afferma che la contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale perde, a una considerazione più attenta, gran parte della sua rigidità. La psicologia individuale verte sull’uomo singolo e mira a scoprire attraverso quali modalità egli persegua il soddisfacimento dei propri moti pulsionali; eppure, solo raramente, la psicologia individuale riesce a prescindere dalle relazioni del singolo con altri individui: nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come nemico, e pertanto la psicologia individuale è al tempo stesso psicologia sociale. Vale da sola questa affermazione per comprendere che la natura dialettica dell’inconscio ha a che fare col discorso sociale introdotto dall’Altro: è nel luogo dell’Altro che il soggetto coglie la propria soggettività, ovvero quella realtà intima, personale, costitutivamente transindividuale.

Natura simbolico-verbale Nel proporre la psicoanalisi come “talking cure”, Freud ribadisce l’importanza della parola, parola che può rilevare la verità del soggetto, una verità che non si dà all’Altro ma che richiede all’Altro di essere riconosciuta.

Riferirsi a un inconscio simbolico-verbale significa riformulare lo stesso valore della comunicazione, che, almeno in psicoanalisi, non viene interpretata secondo i comuni canoni psicologici di una informazione che può essere intesa purchè gli interagenti condividano il medesimo codice linguistico; nel discorso psicoanalitico, le cose funzionano diversamente, poiché quanto viene detto si compone contemporaneamente di un versante manifesto e di un versante latente. È la combinazione di

questi due versanti che ci porta a dire che la persona dice più di quanto è nelle sue intenzioni coscienti. Ma cosa non dice? Per rispondere a questa domanda dobbiamo riferirci alla natura etica dell’inconscio.

Natura etica Per Elviro Fachinelli l’inconscio freudiano si costituisce essenzialmente in rapporto a un rifiuto, come ciò che il soggetto nega alla propria vita e alla propria coscienza e che, negato, continua a sussistere e a riaffermarsi. A essere rifiutato è ciò di cui il soggetto non vuole sapere nulla perché in conflitto con le richieste della realtà sociale. Possiamo intendere questo rifiuto in rapporto a un senso etico che non permette ai contenuti rimossi di giungere alla coscienza se non travestiti. Ad attivare la rimozione è il sentimento di vergogna, che spinge inconsapevolmente la persona a nascondere ciò su cui è meglio tacere. Ma cosa è meglio tacere? L’amore edipico: l’amore nei confronti di un genitore su cui non si può avanzare alcuna pretesa di possesso. L’inconscio nasce proprio nel segno di un amore primario rimosso per interdizione simbolica della legge paterna. L’etica interpella così l’interdizione di un desiderio originario rimosso, su cui si deve tacere. Un desiderio che procura vergogna e che per tale ragione deve essere posto al di là dell’occhio perlustratore della coscienza.

Attualità del concetto di inconscio L’inconscio mantiene una sua utilità, a patto però che non vengano esclusi gli importanti contributi, provenienti dalle relazioni oggettuali, dalla teoria dell’attaccamento, dall’infant research, dalle neuroscienza, che hanno indagato il ruolo dell’ambiente sullo sviluppo emotivo dell’essere umano. È proprio all’interno di questa rivisitazione dell’inconscio che si inserisce la rivalutazione e l’approfondimento dell’inconscio non rimosso; un inconscio primitivo, pre-riflessivo, pre-verbale, che funziona come un organo emotivo-ricettivo che nei soggetti sani e nei nevrotici intercetta il segnale emotigeno, inviandolo all’inconscio rimosso, perché possa essere simbolizzato e mentalizzato.

CAPITOLO 1 L’ENACTMENT NELLA LETTERATURA PSICOANALITICA Il termine enactment si riferisce al modo di interagire tra paziente e analista in relazioni alle componenti non verbali, gestuali e posturali delle comunicazioni del paziente. Un modo di interagire in cui vengono messi in circolo contenuti precoci rimasti a uno stadio pre-simbolico e pre-verbale, che necessitano di un contenimento nella relazione analitica perché il paziente possa servirsene consapevolmente a vantaggio del proprio benessere psicofisico. Ancora prima della loro natura pre- simbolica e pre-verbale, peculiarità di questi contenuti è il loro essere inconscio.

Il concetto di enactment Per molti autori, sebbene l’inconscio rappresenti un’importante peculiarità dell’enactment, è nella natura relazionale che bisogna ravvisarne il tratto distintivo. Numerosi sono coloro che puntano su questo aspetto nel tentativo di ribadire la differenza del concetto di enactment da quei costrutti, come per esempio l’acting-out, che possono sembrare simili. Si può sostenere che di per sé la psicoanalisi è relazionale, al di là delle diverse declinazioni che assume nelle varie scuole psicoanalitiche, a partire da quella del suo fondatore. L’enactment non è né più né meno relazionale di altri processi o meccanismi psichici come il transfert, additati come espressione della cosiddetta meta psicologia freudiana monopersonale. L’enactment non è un concetto meta-psicologico. I fenomeni che esso descrive esistono nel regno dei pensieri, dei sentimenti e del comportamento, non nel regno delle ipotesi astratte sull’attività della mente. Che si usi o non si usi questo termine, che si sia consci o no del significato del concetto di enactment, nella clinica di fatto ci imbattiamo continuamente nei fenomeni che esso descrive: la messa in atto i contenuti emotivi inconsci che coinvolge la coppia psicoanalitica. Da queste prime considerazioni sembra che l’enactment non sia una semplice costruzione astratta senza alcun corrispettivo reale, ma che riguardi l’esperienza riconoscibile, che, se individuata, può orientare utilmente il lavoro analitico.

Modelli a confronto Nonostante la letteratura non ci consegni una definizione univoca e condivisa i enactment, si è generalmente concordi nel considerarlo una comunicazione inconscia che interviene nella relazione fra analista e paziente.

Il modello kleiniano-bioniano Secondo l’interpretazione della contemporanea teoria delle relazioni oggettuali, l’enactment è in rapporto agli oggetti interni messi in scena, attraverso l’identificazione proiettiva, dal paziente e subiti dall’analista, riproponendo di fatto quelle che sono le peculiarità della relazione duale genitore-bambino, in cui il bambino proietta sull’adulto contenuti emotivi grezzi (elementi beta) ed il genitore è chiamato ad accoglierli nel proprio mondo interno così da poterli trasformare, per mezzo della funzione alfa, in stati mentali psichici elaborati (elementi alfa) che verranno proiettati sul bambino.

Secondo tale modello, a essere messe in scena durante l’enactment sono fantasie inconsce, ovvero il contenuto primario dei processi inconsci. Va ricordato che lo stesso Freud considerava la fantasia in stretto rapporto con i contenuti inconsci rimossi, mentre per Melanie Klein la fantasia inconscia non ha a che fare con la rimozione, ma è endogena, perché associata all’istinto. È importante precisare che in psicoanalisi si è portati a distinguere la fantasia (phantasy) dalla fantasticheria (fantasy). Il termine fantasia si riferisce a un contenuto mentale inconscio che può o meno divenire cosciente. Il richiamo al ruolo della fantasia, da parte degli esponenti della teoria delle relazioni oggettuali, porta a considerare l’enactment come una comunicazione inconscia i cui contenuti circolano reciprocamente fra paziente e analista nella relazione di transfert-controtransfert attraverso la mediazione di un atto. Steiner e Bonovitz concordano nel ritenere che l’enactment sia il risultato di un collasso delle capacità dell’analista di pensare consapevolmente sui propri vissuti emotivi indotti dal paziente; ma, come per il transfert, tale esperienza di collasso delle abilità riflessive dell’analista può, se riconosciuto, diventare una risorsa al lavoro clinico.

È più probabile che avvenga un enactment quando anche l’analista ha altrettanta difficoltà a tollerare i vincoli della situazione analitica, se la pressione esercitata dal paziente coincide con un’area di frustrazione dell’analista, che potrebbe essere tentato di compromettere in un agito collusivo. Bisogna soffermarsi sulla parola “colludere”, di cui sovente non vengono colte le potenzialità nel lavoro clinico, conferendole spesso una connotazione negativa equivalente all’idea che nella collusione ci sia una violazione del setting in cui il mondo interno dell’analista rischia di con-fondersi con quello del paziente. In verità, se facciamo riferimento all’etimologia del verbo colludere, cogliamo immediatamente l’allusione al giocare (ludere) insieme (cum). Come ci ricorda Donald Winnicott, dobbiamo intendere la psicoanalisi come una forma specializzata di gioco, in cui due persone si trovano a condividere uno spazio dove c’è un individuo che gioca a fare lo psicoterapeuta e un altro che veste i panni del paziente. Sarà l’analista sufficientemente buono a saper creare insieme al paziente quell’area intermedia nella quale quest’ultimo potrà vivere l’illusione di un controllo onnipotente sulla realtà. Sull’importanza evolutiva dell’illusione, Winnicott ci dice che è un fatto di esperienza che favorisce, in presenza di un supporto adeguato, lo sviluppo psicosomatico del bambino. Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare; in altre parole, vi è un sovrapporsi tra ciò che la madre fornisce e ciò che di esso il bambino può concepire. L’organizzarsi di un’area di illusione rappresenta il primo stadio di uno sviluppo che porta allo stadio successivo in cui si dà forma a quest’area, che diventa così quella che Winnicott chiama un’area transazionale: un’area potenziale dove il bambino ha la possibilità di fare esperienza della precarietà, di ciò che si svolge tra la realtà psichica personale e l’esperienza del magico, che sorge nell’intimità, in un rapporto che si riconosce come attendibile. Alla maniera della relazione fra genitore e bambino, possiamo immaginare la relazione analitica collusiva come un’esperienza ludica in cui l’analista favorisce la creazione di un’area potenziale che si interpone fra la realtà e la fantasia, fra il mondo interno e il mondo esterno. Il difficile di questo gioco relazionale sta nell’intervento di meccanismi e contenuti invisibili, in virtù dei quali la collusione assume i tratti di un gioco clandestino che coinvolge contenuti inconsci di analista e paziente. È proprio questa clandestinità che conduce il terapeuta non attento, per vulnerabilità personali non ben analizzate, a precipitare, senza che ne abbia la minima consapevolezza, dalla collusione alla con-fusione del proprio mondo interno con il mondo interno del paziente. Una buona analisi personale e un atteggiamento mentalizzante permettono all’analista di esporsi,

giocando con la realtà psichica del paziente, senza esserne avvinghiato e travolto. Si tratta di camminare sul bordo dell’abisso, tenendosi ben accorto a non cadervi dentro. Si tratta di un “come se” analista e paziente allucinassero insieme. Sarà la temporaneità di questa esperienza a preservare l’analista e a permettergli di comprendere consapevolmente ciò che affligge il paziente. Se lo intendiamo alla stregua di un agito collusivo, l’enactment favorisce la creazione di uno spazio potenziale nella relazione analitica che è alla base di un processo trasformativo di soggettivazione del paziente. Bisogna correre il rischio di lasciarsi ammalare, illusoriamente e temporaneamente, dal paziente per poter entrare in contatto con quelle impressioni emotive, rimaste a un livello sensoriale e pre- simboliche. Si tratta di una “messa in atto” necessaria per procedere con quel lavoro simbolico attraverso cui trasformare tali impressioni emotive non digerite, presenti nell’inconscio del paziente, in fenomeni psichici, pensati e verbalizzati.

La psicoanalisi tradizionale La prospettiva relazionale nordamericana ha posto l’accento sulla necessità di considerare la terapia in termini di una relazione diadica fra menti che si incontrano. In contrapposizione all’ideale di neutralità del terapeuta, si è fatta strada la convinzione che gli individui sono influenzati in modo inevitabile dalle complesse comunicazioni non verbali degli altri e che i terapeuti, in quanto esseri umani, non sono mai completamente trasparenti a se stessi. Come scrive Mitchell, le menti umani sono fenomeni interattivi: una mente umana individuale è un ossimoro; la soggettività si sviluppa sempre nel contesto dell’intersoggettività. Alla luce di ciò, gli analisti relazionali considerano l’enactment come un gesto relazionale, spostando di fatto il focus sulle azione e sulle interazioni da natura emotiva che passano all’interno della diade paziente-analista. Owen Renik parla di mutual enactment, nel senso di una reciproca esperienza emozionale transferale-controtransferale in cui vengono attualizzati i mondi relazionali interni ed esterni sia dell’analista che del paziente. L’enactment è un’interazione tra analista e paziente, nella quale si esprimono le motivazioni inconsce dell’uno e dell’altro.

Per Jeremy Safran, l’enactment è uno scenario ripetitivo messo in atto nella relazione fra paziente e terapeuta e riflette il contributo inconsapevole delle storie personali, dei conflitti, dei modi caratteristici di mettersi in relazione di entrambi. Dato che paziente e terapeuta si influenzano continuamente a vicenda, sia consciamente che inconsciamente, essi finiranno inevitabilmente per svolgere dei ruoli complementari in questi scenari. Si tratta di una messa in atto di configurazioni relazionali implicite non premeditata, ma autentica e legata a ciò che i due inconsci comunicano nel momento presente della relazione analitica.

Ulteriori riflessioni Probabilmente il costrutto che nella teoria lacaniana più si avvicina a quello di enactment è il cosiddetto passaggio all’atto di cui sono chiare le differenze con l’acting out. Diversamente dall’acting out, che consiste in una condotta che si rivolge a un Altro e che può essere decifrata poiché in rapporto con l’inconscio strutturato come un linguaggio, il passaggio all’atto è interpretato come un atto impulsivo in risposta a un’estrema emozione. Come ci ricorda Massimo Recalcati, il passaggio all’atto suicidario rappresenta nel modo più radicale lo sradicamento del soggetto dal campo dell’altro, la sua scissione senza ritorno nell’ordine del senso; esso non trova più posto sulla scena del mondo e si ripiega nichilisticamente sul proprio mondo. In sintesi, sebbene sia il passaggio all’atto che l’enactment consistano in una messa in atto impulsiva e inconscia, sono due le differenze principali: il rimandare a esperienze primarie traumatiche, tipico dall’enactment ma assente nel passaggio all’atto e la natura dissociativa e pre-simbolica propria dell’enactment ma non del passaggio all’atto.

CAPITOLO 2 MESSA IN SCENA E MESSA IN ATTO Nella loro Enciclopedia della psicoanalisi, Laplanche e Pontalis scrivono che l’acting out riguarda le azioni che presentano per lo più un carattere impulsivo relativamente in rottura con i sistemi di motivazioni abituali del soggetto e che assumono una forma di auto o etero aggressività. Nel sorgere dell’acting out lo psicoanalista vede il segno dell’emergenza del rimosso. Probabilmente, la descrizione più completa e convincente è quella di Phyllis Greenacre, secondo cui l’acting out è una modalità particolare di ricordare, nella quale il vecchio ricordo viene ricostruito in una forma più o meno organizzata e appena dissimulata. Non si tratta di una capacità di ricordare visiva o verbale chiaramente cosciente, né vi è alcuna consapevolezza che l’attività particolare sia motivata dal ricordo. Il proprio comportamento appare al soggetto come plausibile e appropriato, sebbene appaia eccessivo e inappropriato sia all’analista che a chi gli è vicino. Il ricordare a cui fa riferimento la Greenacre non è la rievocazione intenzionale e cosciente di informazioni immagazzinate nella memoria a breve o a lungo termine, ma il rilevarsi di rappresentazioni psichiche rimosse accompagnate da una impressione emotiva. Si tratta di una memoria con ricordo, ma un ricordo che rimane fuori dalla consapevolezza del paziente, che si trova ad agire rappresentazioni psichiche rimosse nell’inconscio. In ragione di ciò, il dubbio che viene è se si possa considerare come l’acting out come un ritorno del rimosso. La risposta è sì e no. Sì, in quanto ciò che ritorna è qualcosa che nella vita del paziente non è stato adeguatamente elaborato;, No, perché ciò che viene agito nel momento presente della relazione analitica coinvolge un individuo che partecipa, col proprio mondo interno, con ciò che il paziente agisce, e uno spazio e un tempo inediti. Ma se le cose stanno così, da dove ritorna allora il rimosso? Possiamo rispondere che il rimosso ritorna dal futuro. Si tratta di un vero e proprio paradosso temporale, che induce a considerare, per esempio, i sintomi come tracce prive di senso, il cui significato non è scoperto o dissotterrato dalle profondità nascoste del passato, ma costruito in modo retroattivo: l’analisi

produce la verità; e cioè essa produce la struttura significante che conferisce ai sintomi la loro collocazione simbolica e il loro senso. Applicato al nostro discorso, potremmo dire che l’acting out non è altro che un agire attraverso cui è possibile retroattivamente far accadere il passato. Si tratta però di un passato che entra nelle trame di una complessa operazione di simbolizzazione, co-costruito retroattivamente dalla coppia analista-paziente all’interno del campo analitico.

La rappresentazione in psicoanalisi Per capire cosa si intenda e quali siano le caratteristiche della rappresentazione in psicoanalisi, potremmo cominciare dalla constatazione che le funzioni psichiche superiori, come per esempio il pensiero consapevole, sono caratterizzate dal loro intimo legame con rappresentazioni psichiche inconsce, espressione di una memoria senza ricordo di Esperienze che possono essere evacuate o esternalizzate attraverso un agire nella relazione analiti...


Similar Free PDFs