L\'islam immaginato - riassunto PDF

Title L\'islam immaginato - riassunto
Author Nadiya Zadilska
Course Sociologia della politica
Institution Sapienza - Università di Roma
Pages 24
File Size 494.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 69
Total Views 129

Summary

Download L'islam immaginato - riassunto PDF


Description

L’ISLAM IMMAGINATO INTRODUZIONE: I MASS MEDIA E L’ALTRO MUSULMANO La teoria del clash di civiltà ( o scontro di civiltà di Huntington) si fonda sulla tesi che “nel nuovo ordine mondiale” i modelli di conflitto o di cooperazione siano basasti su distinzioni e identificazioni di tipo culturale. Questa constatazione si tramuta in Huntington in una riproposizione di pregiudizi indimostrati sull’islam e sul mondo musulmano: egli parla di “indigeribilità” dei musulmani” e della “propensione dei musulmani alla conflittualità violenta” caratteristica che li renderebbe particolarmente minacciosi. • Non è possibile negare che gli elementi quali la cultura, l’identità etnica o la religione abbiano un peso nella relazioni politiche e anche abbiano un peso maggiore negli ultimi anni di quanto ne abbiamo mai avuto in passato. Questo “pericolo verde” costituisce un mito nei confronti dell’islam: non sono i caratteri religiosi e culturali dell’islam a costruire una minaccia, ma semmai il rinforzarsi nel mondo di sentimenti anti-occidentali. • Alcune caratteristiche della globalizzazione incorporano una tendenza in campo politico-culturale alla frammentazione e destabilizzazione che è sicuramente rintracciabile nei processi di costruzione di identità difensive radicalizzate, tendenza che si è fatta sempre più visibile con la fine della guerra fredda, l’esplodere degli etnonazionalismi degli anni 90 e dell’islamismo su scala transnazionale poi. Questa “postmoderna” crisi delle identità percepita globalmente, si esprime anche su scala locale come resistenza da parte delle nazioni che ospitano consistenti flussi migratori alle istanze delle identità minoritarie; radicalizzazione delle identità che su scala globale ha condotto all’incremento di forme di etnicizzazione del politico. È interessante notare il ruolo dell’11 settembre non è solo un picco di attenzione ma uno snodo che pone il mondo islamico al centro della “geografia della notiziabilità”, mutando gli equilibri dell’attenzione mediale in modo permanente o almeno nella lunga durata. Sulla ricerca: I riferimenti empirici all’interno dell’impianto del lavoro sono relativi alle informazioni nei mass media italiani nel periodo 2000-2007. A periodi di osservazione e monitoraggio intensivo e sistematico, è stata affiancata la raccolta, l’archiviazione e l’analisi di tutti i materiali (testi in senso mediale , televisivi e di stampa) anche nei periodi non oggetto di rilevazione statistica. In particolare, le varie esperienze di ricerca condotte verranno utilizzate per isolare quelle che possono essere definite forme stereotipe della rappresentazione dell’altro musulmano. L’intento: è mostrare alcuni dei “miti” e dei meccanismi che operano dietro la costruzione dell’agenda mediale, normalmente legata a processi produttivi che sembrano apparentemente neutri. La “rappresentazione” mediale non è una “ri-presentazione”: cioè riguarda in minima parte una maggiore o minore “verità” circa il soggetto che viene rappresentato, oppure un qualche processo trasparente di riproposizione di elementi della realtà attraverso la tecnologia. Per questo motivo, laddove si denuncia una rappresentazione stereotipa o distorta dell’islam non si sta assumendo che ne esista una qualche rappresentazione “reale” in senso assoluto, una versione che riproponga la “verità” circa l’islam, le sue caratteristiche o gli individui che all’islam come sistema religioso e culturale fanno riferimento.

Esiste un generale consenso sul fatto che l’immagine “pubblica” e mediatica dell’islam sia viziata da criticità, distorsioni, in alcuni casi da autentiche mistificazioni, effetti di un approccio generalmente superficiale nei confronti di un universo culturale che ha nella complessità la principale delle sue chiavi di lettura. In estrema sintesi le criticità più profonde ed evidenti sono relative a tre dimensioni: si tratta del monolitismo dell’islam, dell’eccezionalità e del tema dell’homo islamicus. 1) Appunto quella di un presunto monolitismo, è la prima di queste distorsioni: vale a dire il mancato riconoscimento dell’eterogeneità delle esperienze culturali, storiche, politiche, sociali, ma anche religiose, all’interno di quel complesso sistema di popoli, appartenenze e tradizioni culturali, definibili come “islam. 2) In secondo luogo la supposta “natura tutta particolare “ dell’islam, come un’esperienza del tutto diversa dalle altre esperienze religiose e culturali che normalmente, in fase di analisi, vengono invece contestualizzate, connesse alle più generali dinamiche politiche e storiche. Un islam, quindi, visto come “astorico”, immutato ed immutabile nel tempo. 3) Strettamente legato a questo punto di vista è quello del musulmano – inteso qui come individuo – definito esclusivamente a partire dalla sua appartenenza religiosa, una sorta di “homo islamicus” che non un’altra identità che quella di “seguace della religione”. Oltre a queste distorsioni ve ne sono alcune di livello diverso, più strettamente legate alla rappresentazione fornita dai mezzi di comunicazione di massa ma più specifiche dell’islam. Si tratta di forme rappresentative e schemi narrativi che possono essere visti come polarizzati intorno a due ulteriori dimensioni: a. la rappresentazione dell’islam come oggetto conflittuale e “ ansiogeno” che minaccia: la costruzione di un’uguaglianza del tipo Islam = fondamentalismo; spesso l’attribuzione del fanatismo come categoriamentaletipica dei musulmani; b. il permanere di uno sguardo orientalista sul mondo islamico, ricco ancora di venature di esotismo. Entrambe queste visioni hanno una storia ancora strettamente connessa alla questione della definizione di “un altro da sé” funzionale alla costruzione e caratterizzazione della propria identità. Già Ghareeb aveva parlato nei primi anni ottanta, di una immagine sdoppiata, della presenza di due rappresentazioni parallele del mondo arabo e musulmano: una legata alla natura aggressiva e di minaccia del mondo arabo verso l’occidente, l’altra riconducibile all’immaginario di derivazione esotica, non necessariamente connotato negativamente e che faceva largo uso degli stereotipi attinti dalla tradizione orientalista. Il prevalere dell’una o dell’altra rappresentazione sarebbe in parte collegabile ai periodi di maggiore o minore “turbolenza” da un punto di vista politico oppure economico: in pratica in momenti straordinari prevarrebbe un immagine dell’islam orientato in maniera “naturale” al fanatismo e alla minaccia contro l’occidente, mentre in periodi di routine riaffiorerebbe quell’immaginario esotico e orientalista che in passato ha

definito per contrapposizione la nostra identità, e che gode di un particolare fascino, di tipo quasi “onirico”, legato al desiderio di evasione e di avventura. Due prospettive, con cui guardare ai rapporti con l’islam e con i musulmani: Islam politico: islamismo, rapporti internazionali, Islam immigrato: islam come elemento identitario: culturale e religioso Islam interno: visione degli stessi musulmani sull’islam CAPITOLO PRIMO 1. La Globalizzazione e le culture Discutere di “integrazione” significa discutere delle modalità con cui le differenze che abitano uno stesso spazio sociale possono abitarlo arricchendolo e arricchendo sé stesse. Lo stesso concetto di “cultura” si rivela poco malleabile laddove si stabilisca che il rapporto che questi intrattiene con un altro termine problematico quale la “globalizzazione” sia meramente di tipo “omogenizzante”, come spesso si sostiene. La “globalizzazione” come esplosione delle possibilità di interconnessione e scambio tra categorie spazio-temporali accompagna il progressivo deterioramento di una concezione più classica della cultura, ovvero il suo essere fermamente radicata ad un luogo (Tomlison e Appadurai, 2001). -> accompagna il processo di “deterritorializzazione” che colpisce il cuore il concetto classico di cultura. Ma quando la gente inizia a circolare e si sposta con la propria rete e bagaglio di significati, il territorio non può più essere inteso come un mero “recipiente di culture”. La “globalizzazione” rende visibili le “mescolanze” (ibridazioni), la produzione di immagini e rappresentazioni relative all’altro e il problema dell’altro diventano temi fluidi, immersi e riflessi dal fenomeno empirico che i media veicolano negli altrove. Questi sono i “confini”, i luoghi in cui il locale si confonde con il globale (G-Locale), dove avviene il passaggio e lo scambio tra i due non - luoghi, astratti ma sempre più reali. 2. Dalle culture ai processi interculturali errore: considerare ogni cultura come unità separata dalle altre -> Il fatto che l’integrazione e la compresenza sia un tema quanto mai sfuggente è dato dalla visione di cultura propria del “ multiculturalismo ingenuo ”, ovvero la visione delle culture come pezzi di puzzle che possono essere combinabili o no, ovvero una immagine distorta dell’accostamento delle diversità che vede i singoli individui come portatori di singole e statiche culture più o meno assimilabili. Si tratta di una serie di “rappresentazioni”, altre sono: la concezione di scambio con componente di “perdita” del proprio patrimoni, o l’idea di “separazione e rispetto” delle culture che sbarca in casi estremi nel “neorazzismo”. Neo-razzismo: una serie di atteggiamenti che, seppur differenti dalla concezione comune di “razzismo” ma che non si basa sulle differenze fisiche ed etniche dell’altro ma sulla “differenza di cultura”, giungendo comunque ai medesimi esiti (auspicio di separazione e timore di “ibridazioni culturali”). Le “concezioni rigide di cultura” costituiscono una parte di quello che Stolcke definisce il “ fondamentalismo culturale” come reazione alla

globalizzazione e sbarco nel “relativismo culturale” (teoria dell’esclusione). Bisogna pertanto riconoscere delle differenze: In sintesi: constatazioni 1. La Cultura non è data. Porta in sé la transitorietà, adeguamento a fenomeni storico-sociali. 2. La perfetta corrispondenza fra tratti culturali è una approssimazione, un insieme di attribuzioni arbitrarie. 3. Non esistono Culture nate senza l’intervento di un complesso e stratificato insieme di scambi con culture “altre da sé” 4. Le modalità di scambio e trasmissione non sono unidirezionali né solamente progressive nelle sorti della società (vedi Medioevo o Nazismo e Fascismo). 3. Contro la critica al relativismo Negli ultimi anni si è accentuata la tendenza a criticare il “relativismo culturale”: da un lato, è stato accusato di fungere da “quinta colonna” delle istanze fondamentaliste esterne che mirerebbero a ribaltare l’egemonia dell’occidente (sul piano economico e dei valori). Dall’altro lato è accusato di non essere in grado di rispondere alle sfide dei neo-comunitarismi , identificati dopo le “crisi” dei modelli assimilazionisti (caso: Francia - ex colonia). Oppure, ancora, lo si attacca per difendere le “conquiste occidentali” in termini di uguaglianza, rispetto e società civile, a differenza invece dell’altro islamico” che continua ad essere rappresentato in maniera sommaria, con poca considerazione riguardo le ragioni sociali, politiche storiche (prima che religiose) alla base, per esempio, della posizione della donna nelle realtà musulmane. (Va detto, però, che troppo spesso si parla di fallimenti per i modelli che hanno guidato il modo di porsi della civiltà occidentale di fronte a quella musulmana. Gli esempi di mancata integrazione passano in primo piano rispetto a quelli, seppur difficoltosi, che invece riescono o sono riusciti. Si tende ad essenzializzare i modelli e ad etichettare come defunti quelli che magari hanno accompagnato decenni di immigrazione. Alcune critiche al relativismo ingenuo possono rivelarsi valide, ma la maggior parte della accuse al concetto ha il grande limite di non ricordare il contesto intellettuale in cui è nato e il ruolo che ha avuto nel minare le basi dell’universalismo egemonico che aveva giustificato le conquiste coloniali e il razzismo nazista. E’ una ricerca di una universalità che vada oltre l’appartenenza etnica e culturale. E gli studi sociologici e antropologici hanno evidenziato quanto sia più proficuo parlare di aspetto “culturale” in quanto implica attenzione ai fenomeni umani e interdica la gerarchizzazione delle differenze. • Una delle più grandi conquiste è stata sicuramente quella di aver compreso che le culture sono frutto di ibridazioni, sono eterogenee ; così interrelate e interdipendenti da mettere in crisi qualsiasi ragionamento che provi a ridurle semplicisticamente. E non si può ipotizzare che in futuro non vi siano nuove mescolanze. 2. Categorizzare la realtà; pregiudizi, stereotipi e costruzione di senso Si può considerare l’uomo come un elaboratore di informazioni che necessita di comprendere quanto più possibile il mondo per poterlo prevedere e controllare ma è ostacolato da due grandi problemi:

1. E’ sommerso da una grande quantità di informazioni per le sue capacità mentali 5. Un oggetto specifico può passare al vaglio di un numero ristretto di informazioni, quindi vengono messe in atto specifiche azioni cognitive per semplificare la realtà: la categorizzazione. CATEGORIZZAZIONE - è la base per l’organizzazione del mondo: raggruppare eventi, persone ed oggetti che vengono considerati equivalenti da un certo punto di vista. Lo scopo è quello di cercare di indirizzare le azioni e le risposte relative a questi nel mondo esterno (sulla base dell’esperienza individuale del/degli individuo/i). Comporta la formazione di giudizi aprioristici che dipendono dal “contatto” con uno di questi oggetti e la qualità di queste categorie sarà stabilita dal livello, qualità e grado delle esperienze relative a ciò. Porta alla formazione di MODELLI nati dalla esclusione degli aspetti relativi all’oggetto che sono in contrasto con l’esperienza empirica e dell’inclusione di nuovi caratteri salienti. Categorizzazione -> giudizi e stereotipi (rispondono a un sistema di aspettative) Concetti di STEREOTIPO, PREGIUDIZIO e ATTEGGIAMENTO: 1- PREGIUDIZIO - giudizi aprioristici che dipendono dalla possibilità o meno di aver fatto esperienza con un oggetto/persona. Lo Stereotipo: fornisce le caratteristiche di una categoria sociale. E il pregiudizio si esprime tramite un particolare atteggiamento verso tutto un gruppo o classe che tale categoria sociale comprente. Più diffuso di tipo etnico. Gruppo etnico: insieme di persone che considerano, o sono considerate da altri, avere in comune una o più caratteristiche: 1religione 2- origine razziale 3- origine nazionale 4- lingua e tradizioni (Harding, 1954). Solo con il riconoscimento della artificiosità di questa costruzione si può percepire la differenziazione tra “gruppi etnici”. 2- ATTEGGIAMENTO - “è uno stato di prontezza mentale e neurologica organizzato nel corso dell’esperienza, che esercita una imp. funzione organizzatrice e direttrice sulle risposte di un soggetto in relazione con gli oggetti che incontra. (è una predisposizione che ha caratteristiche individuali e sociali) => E’ la propensione a valutare in modo positivo o negativo oggetti e fatti sociali. Svolgono un ruolo fondamentale in quanto: 1. funzione conoscitiva (decodificano le informazioni provenienti dall’esterno) 6. funzione difensiva (il confronto porta ad una difesa dei propri valori ed espressione delle proprie paure) 7. costituiscono una predisposizione a valutare analogamente uno stesso oggetto. 8. Si formano e diffondono per mezzo della società 1. Influenzano il comportamento sociale. I soggetti sviluppano e modellano i propri atteggiamenti anche in relazione ai gruppi che lo circondano (famiglia, colleghi, amici) e ogni gruppo esercita una pressione al conformismo alle opinioni della maggioranza che può essere di due tipi: 1- informativa

2- normativa. RUOLO FONDAMENTALE DEI MASS-MEDIA - Punta l’attenzione su alcuni aspetti di diversi argomenti, ne conferisce rilevanza. (agenda setting; spirale del silenzio; coltivaione) Motivazione sulla diffusione del pregiudizio? -> diverse spiegazioni 1. DOLLARD “FRUSTRAZIONE E AGGRESSIVITA’” (1939) - In presenza di frustrazione si manifesta in noi uno stato di tensione che ci predispone all’aggressione verso l’oggetto che è ritenuto la causa di questo stato d’animo. Nella maggior parte dei casi non si riesce ad eliminare e quindi si tende a ricercare una “valvola di sfogo” diversa. Vittima di ciò, nella società, sono le minoranze etniche, deboli ed identificabili (fungono da capri espiatori). L’ostilità può essere specifica o generica e, nel caso di una condizione di vita disagiata, porta all’individuazione della minoranza etnica come la “causa”/ la potenziale minaccia (razzismo sui neri in America e sugli ebrei in Germania dopo la crisi del ’29, razzismo sulle minoranze Rom ed islamiche dopo la crisi del 2008 o dopo 2001 in Italia). 2. ADORNO (1950) – IL PREGIUDIZIO - E’ legato alle strutture di personalità, non è un processo universale ed è una caratteristica legata a personalità “disturbate”. Nato da uno studio sulla disponibilità delle masse a farsi sottomettere da un potere forte e, allo stesso tempo, di credere che la propria società fosse superiore alle altre (“personalità autoritaria”). Caratteristiche sono: conservatorismo, orientamento anti-democratico e propensione al pregiudizio. 3. ROCKEACH – TEORIA DELLA CONGRUENZA DI CREDENZE - Le persone privilegiano l’interazione con persone che condividono il loro sistema di credenze. Questo meccanismo si può espandere nella cosiddetta “mente chiusa” - una personalità che non tollera incertezze e contraddizioni ed è portatrice di pregiudizio per alcuni individui e gruppi etnici con sistemi di credenze incompatibili con il loro. Anche la costruzione dello STEREOTIPO risponde ad un processo di categorizzazione della realtà sociale sui gruppi. Lipmann nel 1922 sostiene che la realtà sociale non può essere conosciuta nella sua totalità ma solo per mezzo di immagini e rappresentazioni che l’uomo si crea intorno a questa. Su questa si basano le semplificazioni, stereotipi e forme di organizzazione preventiva dei dati. ESPERIMENTI - Katz e Braly nel 1933 fecero associare una serie di aggettivi a dei gruppi etnico-nazionali; i risultati furono dei profili di gruppi tanto differenziati quanto omogenei. Erano, difatti, altamente condivisi e per questo lo stereotipo può definirsi come “insieme stabile di credenze circa le caratteristiche dei gruppi umani”. Ancora più interessante sarà il confronto di questa ricerca con altre che nei periodi successivi hanno adottato il medesimo schema: Nel 1951 e nel 1969. Nella prima (1951) gli stereotipi risultavano meno coerenti e condivisi e gli intervistati erano meno inclini a riconoscere le caratteristiche nazionali dei soggetti. Nella seconda (1969) si assiste ad un ritorno agli stereotipi seppur con qualche mutamento nei contenuti (autocriticità verso la maggioranza e definizioni neutre alle minoranze). Risulta importante (x es. nel caso delle opinioni sui Tedeschi e Giapponesi prima e dopo la guerra) il contesto sociale-politico-economico nella determinazione degli stereotipi (prima neutri, dopo la guerra tratti ostili e negativi).

ACCENTUAZIONE PERCETTIVA E STEREOTIPO - Risultato dell’applicazione di categorie a stimoli. E’ una accentuazione delle differenze reali tra i gruppi della categorizzazione, ancora più accentuato se le differenze sono percepite “soggettivamente” da ciascuno, causando una sopravvalutazione della similarità interna e della dissimilarità esterna. Quando si lega al processo “in group / out group” si percepisce il proprio gruppo di riferimento come più variegato dell’out-group, percepito come un unico “blocco” (ma solo se il gruppo di riferimento è la maggioranza!!). Collegato a ciò, il processo di de-individuazione ovvero di omologare una persona alle caratteristiche del gruppo a cui appartiene, ignorandone le specificità legate al proprio essere. Lo stereotipo si presenta “rigido” rispetto al tempo e ai cambiamenti, è strettamente legato all’immagine semplificata che si crea intorno alla realtà e induce nelle persone un comportamento conforme allo stereotipo (di fronte ad una persona di colore mi comporto con diffidenza, in quanto le persone di colore sono riconosciute come inaffidabili). Di fronte alla persona, si cerca di capire se lo stereotipo è fondato: 1- se non è congruente, si isolano quelle persone come sottogruppo di...


Similar Free PDFs