Mediantropi riassunto PDF

Title Mediantropi riassunto
Author Chiara Sansotta
Course Antropologia dei media
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Riassunto dettagliato a partire dal libro...


Description

MEDIANTROPI Introduzione. Dal finestrino del treno, per cominciare Marc Augè  cataloga i mezzi di trasporto tra i non-luoghi, cioè spazi che non forniscono una precisa collocazione identitaria ai propri abitanti. Si tratta di luoghi di passaggio in cui le persone sono costrette a condividere uno spazio momentaneo con altri in attesa di essere altrove. Foucault  preferisce parlare di eterotipie, cioè luoghi che hanno la proprietà di essere in relazione con tutti gli altri luoghi. Il treno è l’esempio più significativo di queste dinamiche. Le persone percorrono lo stesso tragitto insieme ma individualmente. L’osservazione dell’altro diventa un modo per scoprire abitudini, atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano il tessuto sociale nel suo insieme. Infatti, il suono ferroso delle rotaie trasmette una sorta di ritmo cadenzato che aiuta a riflettere, a dare seguito ai propri pensieri e sensazioni, a volte perfino a rilassarci, a fare in modo che la mente possa vagare e indagare in profondità alcuni aspetti del quotidiano. Ma che colpa ne abbiamo noi  coprotagonista Ernesto riesce a dormire e a superare le ansie derivanti dalla sua situazione familiare solo sul treno. Altra caratteristica del treno è il suo finestrino che diventa un medium, un tramite che ci permette di arrivare da qualche parte con la vista. Sembra quasi che attraverso la vista, egli possa vedere anche il trascorrere del tempo. La ragazza del treno  Rachel intravede ogni giorno un istante della vita di una presunta coppia perfetta, che in realtà si dimostrerà non essere tale. Nel corso degli anni Duemila abbiamo assistito ad un cambiamento radicale: il numero di schermi è gradualmente aumentato è bene parlare di schermi a portata di mano, ovvero quelli che hanno caratterizzato l’evoluzione tecnologica e la diffusione capillare dei dispositivi mobili e cellulari. VENTI ANNI FA Condizione di presenza e di assenza fisica

OGGI Condizione di ambivalenza per cui alla distanza materiale si contrappone la presenza/vicinanza virtuale. Rimediamo alla mancanza fisica con una presenza online

Il telefono ha modificato la nostra istanza ontologica, rendendo la nostra condizione fluida, cioè sempre raggiungibili e sempre presenti. Oggi è la tecnologia che ci cerca, che ci avvisa quando arriva un messaggio, che ci ricorda un appuntamento. Con l’abbondanza degli schermi le finestre sul mondo e le esperienze si sono moltiplicate, sono cresciute le nostre possibilità espressive e comunicative e le nostre sfaccettature identitarie. Oggi un numero minimo di persone guarda fuori dal finestrino, un numero decisamente più elevato guarda altrove ed è contemporaneamente altrove. La parola MEDIANTROPO dovrebbe rimandare alla condizione dell’uomo postmoderno, il quale è risultato di una graduale ibridazione tra elementi naturali e tecnologici, il che comporta una inevitabile modificazione comportamentale, sociale ed esistenziale dell’essere umano.

Ma questo concetto si concentra anche sulla questione dell’IMMAGINE e di quanto questa sia importante nella costruzione di una consapevolezza identitaria, mediale, mediata, medializzata, rimediata e premediata. L’immediatezza con cui oggi siamo ambivalentemente presenti in più luoghi ci dimostra che il nostro cervello pare sia in grado di sfruttare sia elementi tipici della voce e dell’istantaneità ontologica, sia aspetti collegati alla scrittura e alla registrazione su supporti fisici del nostro pensiero. La comunicazione digitale è basata su schematismi che ibridano le nostre forme di comunicazione, ad esempio lo scambio dialettico attraverso una voce silente, concetto elaborato da Soffer, o le scritte sul foglio digitale di una chat che diventano istantanee come le parole affidate al suono. Il mediantropo non ha solo un rapporto privilegiato con il media, è egli stesso un medium, egli è un messaggio e una progettualità di messaggio, in quanto l’esigenza di essere in tempo reale lo porta a mutare continuamente, a sentirsi un work in progress. Il mediantropo può finire dentro i meccanismi spettacolari dei sistemi mediali. La letteratura finzionale ha raccontato situazioni simili a quelle che viviamo nella realtà  Episodio Bad Wolf di Doctor Who: mentre il Dottore si ritrova nella casa del Grande Fratello, Rose deve vedersela con i concorrenti umani di un quiz. Se un concorrente sbaglia risposta, viene dematerializzato dal conduttore robot. Si tratta di esagerazione, ma contiene alcuni elementi su cui riflettere. Il prefisso media- del termine mediantropo rimanda a diversi significati:  Media nel senso di medium;  Media come mezzo di comunicazione, come strumento attraverso cui acquisire informazioni o fruire di uno spettacolo;  Media come rimando alla spettacolarizzazione;  Media come mediocritas, con accezione negativa che sta a simboleggiare sia l’intromissione violenta dei mezzi di comunicazione nella sfera cognitiva, sia i modelli comunicativi che l’uomo può produrre e condividere.  Media come rimando a medias res, cioè avviare una narrazione senza preamboli. L’aspetto spazio-temporale è cardine dell’esperienza tecnologica per la dinamica della reperibilità continua che le tecnologie mettono in atto nei nostri confronti. Ferraris parla di ARMI  Apparecchi di Registrazione e Mobilitazione dell’Intenzionalità. Umanità ormai con-fusa nel medium che affronta le sfide di una iperquotidianità, in cui il digitale è integrato come elemento costitutivo del genere umano. Capitolo 1. Dallo schermo al mondo: una questione di spazi. Il film Disconnect racconta tre possibili episodi della nostra quotidianità tecnologica attraverso tre vicende collegate tra loro attraverso i personaggi. Ben Boyd è un ragazzino introverso e timido che ama la musica, ha pochi rapporti con parenti e con compagni di scuola e ha una famiglia problematica. Un giorno Ben viene contattato su Facebook da Jessica, una giovane che si dice interessata a lui e alla sua musica. In realtà la ragazza non esiste, è un falso profilo creato da Jason e Fry, compagni di scuola soliti organizzare scherzi. Ben

viene convinto dalla finta Jessica a mandare una foto erotica come messaggio su Fb, immagine che viene diffusa in tutta la scuola dai due bulli, che si macchiano così di cyberbullismo. Ben tenta il suicidio e il film si conclude con il ragazzo in coma. Uno dei due bulli, Jason, è figlio di Dixon, investigatore privato esperto in casi di truffe online impegnato attualmente nel caso Hull a cui un hacker ha svuotato il conto in banca. La crisi tra i due coniugi, avvenuta dopo la morte del loro figlio, si riassorbe a favore dell’obiettivo unico di incastrare l’hacker. La ricerca non porterà ad una conclusione perché il presunto colpevole è in realtà vittima di furti online. Dixon può quindi concentrarsi sul figlio Jason, di cui ha scoperto il comportamento errato requisendogli l’iPad. La giornalista Dunham vuole realizzare un’inchiesta sul mondo dell’eros online e si iscrive ad una chatroom erotica a pagamento in cui i giovani guadagnano mostrandosi davanti alla webcam. Conosce Kyle che si rende disponibile ad un’intervista che avrà un certo successo sul giornale il cui legale è Rich Boyd, padre di Ben. La donna dovrà comunicare il luogo da cui i ragazzi trasmettono, perdendo la fiducia di Kyle. Nel frattempo, Boyd sta cercando di capire chi abbia spinto Ben a quella foto e trova sui contatti Facebook del figlio il nome di Jessica con cui inizia a chattare, scopre che non esiste e risale al responsabile con cui avrà un successivo scontro fisico (compreso il padre Dixon). Dopo una rappacificazione, a Boyd rimane solo la speranza che il figlio possa risvegliarsi. Le tre vicende indagano eventuali comportamenti e situazioni che si possono verificare in seguito alla frequentazione spasmodica della Rete. A volte l’ambiente virtuale dà la sensazione di poter trasporre nella realtà fantasie, sogni o immaginazioni in un crescendo con-fuso e caotico, che potrebbe comportare una perdita dello stato di coscienza, andando ad intaccare anche determinate facoltà mentali atte a dare comprensione del mondo reale. Oggi ognuno di noi può contribuire alla crescita quantitativa della documentalità digitale, ognuno può partecipare ad un evento pur essendo seduto a casa sul divano o lasciare traccia di sé attraverso la pubblicazione di un pensiero con un post, un like, un’emoji. Paradossalmente ognuno può vivere più vite contemporaneamente. In questo senso la tecnologia sembra creare spazi e situazioni al punto che anche l’agire umano appare modellato sulle esigenze e le istanze dettate dall’elemento tecnologico. In Disconnect sembra che le tre vicende siano possibili solo per la presenza del medium: Ben avrebbe potuto subire un atto di bullismo, ma in un ambiente reale difficilmente avrebbe potuto subire le avances della finta Jessica perché si sarebbe accorto del trucco. Sembra che l’elemento generativo di queste situazioni sia il medium, è la tecnologia che dà la possibilità all’uomo-utente di creare e di crearsi mondi in cui gettarsi ed interagire. McLuhan ogni tecnologia tende a creare un nuovo ambiente umano. Un ambiente tecnologico non è solo un contenitore passivo di uomini, ma un processo attivo che rimodella gli uomini al pari delle altre tecnologie. Pierre Lèvy fornisce una rilettura degli spazi, definiti antropologici. Egli individua quattro luoghi/non luoghi che declina parallelamente ad una sorta di linea evolutiva delle tecnologie e, in particolare, dei media della parola. Spazio della Terra sinonimo di linguaggi e racconti Spazio del Territorio campi e tavole scritte Spazio delle merci stampa e macchine

Spazio del sapere reti digitali, universi virtuali e vita artificiale Questi quattro ambienti sono strutturanti, contengono o organizzano a loro volta un gran numero di spazi differenti. Sono mondi viventi continuamente generati dai processi e dalle interazioni che vi si svolgono. Gli spazi antropologici crescono dall’interno. Gli spazi sono viventi, autonomi, irreversibili. Le piazze virtuali e le prime chatrooms sono gradualmente diventate ambienti per lo più sociali in grado di modificarsi e di modellarsi continuamente sugli input degli utenti, con lo scopo di facilitarci l’esistenza online e di renderla sempre più affine ai nostri gusti. “Chiunque di noi alimenti il sistema finisce per esserne plagiato” conferma la Turkle, la quale fa riferimento a interessanti studi sulla capacità del web di adattarsi alle implicite indicazioni che ogni utente fornisce di sé, ad esempio quando compie una ricerca in rete o visita un determinato sito. Si tratta dei risultati derivanti dall’analisi dei Big Data, ossia di un altissimo numero di info. Costituiscono una sorta di reticolo sistemico ed esplicativo dei nostri interessi e in generale della nostra attività sul web. Nei primi anni del 2000, Steven Johnson provò a comparare il comportamento neuronale del cervello umano al network digitale e scoprì che quest’ultimo era carente dal punto di vista strutturale e che, nonostante avesse alcune configurazioni auto-organizzanti, queste non erano adattive. Quel web era stato progettato con un linguaggio incapace di generare un’interazione bidirezionale, come invece avviene naturalmente nella realtà biologica e culturale. Lo studioso concluse ipotizzando la possibilità di modificare l’architettura del cyberspazio per consentire anche al web di assumere comportamenti adattivi generando feedback bidirezionali. Questo è quello che accade oggi nella quotidianità. Lo SPAZIO può avere una doppia interpretazione. Può essere visto come una sorta di essere vivente, quindi una realtà in grado di adattarsi e modellarsi ad altri soggetti, come un organismo che fa parte di un ecosistema. Tuttavia, esso può essere visto come un ecosistema vero e proprio, manifestando una duplice natura, ente-generato ed ente-generatore o se vogliamo contenuto/contenitore. Biologicamente, l’ecosistema è un insieme di comunità di esseri viventi che interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante. Per essere tale deve presentare alcune caratteristiche, come il mantenere un equilibrio, le specie che sono presenti devono preservare l’ambiente e dev’essere proattiva e reattiva agli stimoli esterni, per il benessere di sé e degli altri agenti. Questa impostazione è comune alla sfera digitale, tanto che alcuni studiosi hanno ipotizzato una declinazione del concetto ecologico e biologico in una sua forma mediale digital ecosystem. Gli agenti, cioè coloro che costituiscono la parte biotica dell’ecosistema digitale, sono nel nostro caso gli utenti del web e della tecnologia. Boley e Chang affermano che gli agenti sono entità che prendono a far parte di una comunità basata sui loro interessi. L’ambiente contiene informazioni e l’individuo come il network è il risultato di interazioni e conoscenze che aiutano a mantenere la sinergia tra l’essere umano e l’organizzazione. Ricevere messaggi personalizzati, cioè ricostruiti sulla base delle nostre ricerche in rete, fa sentire l’uomo protetto, frequentatore di un sistema-luogo che in qualche misura ci appare rassicurante, in grado di trasmettere la sensazione che qualcuno si prenda CURA di noi. Infatti, il continuo modellamento generato dall’elaborazione dei Big Data fornisce

all’uomo l’idea di potersi costruire un piccolo luogo sicuro in cui trovare sempre le proprie certezze. Tuttavia, questa esasperata personalizzazione ci ingabbia nella cosiddetta filter bubble (Pariser), cioè una bolla che ci isola gradualmente dal contesto sociale, privandoci di un’eterogeneità di risultati a vantaggio di un ambiente costruito a nostra immagine e somiglianza. L’enorme quantità di informazioni che generiamo, insieme alla quantità enorme di documenti che diffondiamo in rete, sono il risultato di una facilità estrema dell’utilizzo del mezzo che porta verso la produzione di un caos informativo. Infatti, questi spazi imprimono una direzionalità orizzontale all’accrescimento della documentalità, promuovendo una diffusione del sapere sempre più capillare, ma meno verticalmente gerarchica. Il fatto di essere spazi che crescono dall’interno fa pensare a tante semiosfere, i cui limiti non delimitano ciascuna di esse, ma le rendono distinguibili le une dalle altre e le rendono facenti parte di una più grande semiosfera globale. Una sorta di ecosistema quindi in cui ogni sfera rappresenta i diversi spazi in cui l’umanità vive. La semiosfera globale ha confini che fungono da “strumenti di traduzione”, cioè costruzione di significato o sistema di decodificazione. Questa complessa strutturazione spaziale può essere descritta anche come un fenomeno di polymedia. Infatti, non è possibile considerare un singolo medium come indipendente dall’intera ecologia mediale di cui fa parte. Nel macrosistema il significato del microsistema dipende dagli altri. Nel nostro mondo digitale il multistrato espressivo è multicodico, cioè composto da codici che contemporaneamente interessano più apparati sensoriali. Lo spazio mediale è un ambiente che si basa sull’interazione dell’uomo con l’uomo, dunque è generato dall’agire umano per garantire lo svolgersi di una serie di funzioni significative; ma al tempo stesso è generatore di situazioni e di contesti in cui l’uomo può tendere a compiere azioni, con un continuo adattamento dei due enti-agenti. Partendo da questo adattamento possiamo dire che lo spazio mediale è in grado di trasformare la natura dell’uomo sia nelle sue istanze esperienziali (di agente), sia in quelle riguardanti la sua condizione esistenziale e ontologica (di ente). Lo spazio semiosferico della tecnologia ci permette di vivere in più illusioni di spazi e di condividere le nostre azioni in ambienti differenti, senza essere presenti fisicamente, ma avvertendoci là, come in una condizione di ubiquità. Sono, però, spazi che risultano molto FISICI, poiché così ci appaiono le azioni, le reazioni e le sensazioni che viviamo in essi. Siamo circondati di segni che diventano atti, da immagini che prendono il posto di parole. È chiaro che siamo in una costruzione sociale che ha nel medium un riflesso, un moltiplicatore di situazioni, un acceleratore temporale, un costruttore di materialità su cui si basa il processo stesso di MEDIANTROPIZZAZIONE dell’umanità tecnologica. L’uomo tecnologico vive ed agisce in una condizione spaziale e temporale basati su stratificazioni complementari che non sono separate tra loro, ma piuttosto intersecanti e in continua relazione. Van Dijck definisce la nostra condizione come una cultura della connettività, in base alla quale le nostre relazioni e le nostre identità dipendono sempre di più da connessioni. L’utente assume il ruolo di nodo all’interno del sistema connettivo globale. L’agire tecnologico online si manifesta ormai con un’enorme quantità di adesioni empatiche alla produzione altrui di materiale; elementi che possono

assumere delle connotazioni linguistiche, cioè si avvicinano ad un vero e proprio atto linguistico. L’uomo tecnologico all’interno degli ambienti social compie atti linguistici che sono manifestatori della sua presenza. Si tratta di interrogarsi su come l’uomo lascia traccia di sé negli spazi digitali e viene così modellato dagli stessi. Teoria degli atti linguistici di Searle Egli distingue l’atto in sé, cioè l’agire vero e proprio, da quello che succede nella nostra mente quando abbiamo intenzione di compiere qualcosa. Egli individua nell’intenzionalità la capacità della mente di riguardare qualcosa, cioè quella caratteristica della mente per cui essa può essere diretta verso oggetti o stati di cose che sono indipendenti da essa stessa. In questo modo il filosofo motiva l’atto linguistico: dietro ogni atto c’è un relativo stato mentale che si traduce in una serie di stati intenzionali. Es: 1) Te ne vai? 2) Te ne andrai 3) Vattene! Esiste una distinzione tra contenuto dell’enunciato (cioè dell’atto linguistico) e la forza dell’atto (cioè il valore da attribuire all’atto stesso). Ci sono tre modalità che equivalgono al modo in cui dev’essere interpretata la frase, ma un unico contenuto proposizionale. Ognuna di queste tre modalità ha uno stato mentale che riguarda lo stato intenzionale. 1) Te ne vai? domanda (forza) speranza (intenzionalità) 2) Te ne andrai predizione (forza) timore (intenzionalità) 3) Vattene! ordine (forza) desiderio (intenzionalità)

Searle sostiene che, nel caso del linguaggio, le parole hanno diversi modi di adattarsi alla realtà che servono per verificare se un atto è vero o falso. È necessario che ogni atto linguistico abbia un corrispettivo stato mentale e che quest’ultimo sia la condizione di sincerità del primo. Se affermo che in questo momento fuori c’è il sole (atto), devo anche credere che fuori ci sia il sole (stato mentale). Le illocuzioni, enunciati con i quali il parlante esprime la sua volontà di chiedere, affermare, ordinare, ecc., hanno la possibilità di essere adattate al mondo o di adattare il mondo all’atto. Poi ci sono atti espressivi, come il ringraziare o lo scusarsi, che hanno in sé una direzionalità detta “presupponente”, in quanto danno per scontato l’adattamento. Infine, vi è quello che Austin definisce atto performativo, che è un atto linguistico in cui coesistono entrambe le direzioni di adattamento. Si tratta di situazioni in cui modifichiamo la realtà per farla corrispondere al contenuto proposizionale dell’atto linguistico, avendo così la parola-a-mondo. Tuttavia, questo risulta possibile perché rappresentiamo la realtà come cambiata, attuando quindi una direzionalità mondo-a-parola. La struttura è la seguente: 1) Parola-a-mondo adattare l’atto al mondo. 2) Mondo-a-parola adattare il mondo all’atto. 3) … adattamento presupponente. 4) Parola-a-mondo e mondo-a-parola doppia direzione dell’atto performativo. Se il primo caso è un’asserzione, l’adattamento traduce lo scopo di rappresentare la realtà, cioè le mie parole si adattano al mondo.

Se il secondo caso è un ordine, dovrebbe essere il mondo ad adattarsi a ciò che diciamo/vogliamo. Il terzo caso è un qualcosa di scontato, come lo scusarsi a causa di un gesto effettivamente compiuto. Il quarto caso è un qualcosa che avviene nel momento stesso in cui viene pronunciato l’atto. “Vi dichiaro marito e moglie” è un atto performativo che è adattamento parola-a-mondo ma di un mondo che è già cambiato nell’istante in cui è...


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