Organizzazione e gestione delle risorse umane PDF

Title Organizzazione e gestione delle risorse umane
Course Organizzazione aziendale
Institution Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
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Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane 1. Strategie d’impresa, risorse umane e valore Risulta essere ampiamente accettato che la gestione delle risorse umane sia un’attività strategica per un’organizzazione, in quanto le attività proprie di questa funzione aziendale contribuiscono al raggiungimento del vantaggio competitivo dell’impresa. Le modalità con cui le imprese raggiungono il vantaggio competitivo e lo sostengono nel tempo rappresentano un nodo critico degli studi di strategia; la strategia aiuta gli organi di un’organizzazione a decidere cosa essa dovrebbe fare per competere e avere successo. Per molti studiosi l’essenza di un’organizzazione risiede proprio nella capacità di creare e sostenere nel tempo vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Questo risultato può essere conseguito seguendo varie strategie aziendali, le più famose sono la leadership di costo, la differenziazione e la focalizzazione. Le strategie hanno a che fare con la definizione degli obiettivi che l’impresa intende perseguire, sia con il processo che essa sceglierà di adottare per raggiungere tali obiettivi; si distinguono due fasi in questo momento: la fase di progettazione o formulazione della strategia e la conseguente fase di implementazione, che solitamente non coincide nei contenuti con la fase di progettazione. Due sono i principali modelli di scelta della strategia: 1. modello dell’analisi competitiva, che privilegia l’ambiente esterno e strumenti rilevanti sono la catena del valore e l’analisi di settore, attraverso il modello delle cinque forze competitive di Porter; 2. modello della resource-based view, che privilegia invece l’ambiente interno e gli strumenti rilevanti sono l’analisi e lo sviluppo del portafoglio delle competenze di un’impresa. Il primo modello muove dalla considerazione che le imprese costruiscono vantaggi competitivi se adottano una strategia in sintonia con le regole del mercato concorrenziale, che devono essere ben conosciute dall’impresa e dal suo management. Le radici di questo approccio si possono rinvenire nel paradigma struttura-condotta-performance, proprio dell’Industrial Organization (IO), secondo cui la condotta dell’impresa, e la sua performance, dipendono strettamente dalla struttura del settore. LA TEORIA DELLA RESOURCE-BASED VIEW La teoria della resource-based view muove da una prospettiva diversa, secondo la quale le imprese, anziché concentrarsi su come scoraggiare l’azione dei competitor, impedendo loro di entrare nel mercato o limitando l’efficacia della loro azione, dovrebbero piuttosto cercare il vantaggio competitivo valorizzando le risorse interne di cui dispongono, identificando le caratteristiche che le rendono uniche e preziose. L’efficacia delle strategie sarà resa possibile dalla capacità di chi guida l’organizzazione di ricombinare in modo unico le risorse che posseggono questi attributi. Si possono distinguere le risorse tra: • risorse tangibili, come quelle finanziarie o caratteristiche rilevanti di quelle fisiche, come la dimensione, l’ubicazione e la flessibilità degli impianti; • risorse intangibili, come la qualità del personale dipendente e le skill possedute, la loro flessibilità, le capacità di interazione sociale. La competenza organizzativa di un’impresa è quella capacità attraverso cui si rendono maggiormente produttive le risorse, che da sole altrimenti non sarebbero valorizzate a pieno. Selznick usa l’espressione competenze distintive per descrivere questa capacità; altra espressione utilizzata è quella di core competences o core capabilities; queste ultime sono quelle che l’impresa dovrebbe identificare e sviluppare adeguatamente perché fondamentali per realizzare una strategia di successo, difficilmente imitabile e generativa di performance superiori. Quello che conta sono gli aspetti più rilevanti che accomunano i sostenitori della resource-based view e che sono sintetizzati così: - le imprese dovrebbero concentrati nel valorizzare le risorse interne che possiedono; - le risorse che rispondono ad alcuni requisiti sono potenzialmente fonte di vantaggio

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competitivo, ma da sole non sono sufficienti a crearlo;

- per far questo, occorrono specifiche capacità di ricombinazione, in funzione delle mutevoli circostanze, del patrimonio unico di risorse proprie di ciascuna impresa. RELAZIONE TRA STRATEGIA E RISORSE UMANE Due sono i modelli di interazione tra strategia e risorse umane: uno hard e l’altro soft, entro cui è possibile collocare le relazioni tra strategia e risorse umane. Secondo il modello hard, la gestione delle risorse umane è concepita come un’attività che si deve integrare con la strategia, recependone le indicazioni e le aspettative; questa non è altro che una visione passiva della relazione e del contributo che possono dare le risorse umane alla strategia. Il modello soft muove dalla considerazione che le persone, con le loro conoscenze, impegno e motivazione, possono rappresentare una reale fonte di vantaggio competitivo ed essere parte attiva e costitutiva della strategia dell’impresa; quindi le risorse umane sono capaci di influenzare direttamente il comportamento organizzativo dei collaboratori, la performance e altre dimensioni rilevanti. Il funzionamento delle relazioni fra strategia e gestione delle risorse umane richiamano due approcci diversi: • approccio ad una via: le scelte dell’imprenditore condizionano in tutto quelle organizzative e di gestione delle RU poiché la struttura segue la strategia. Struttura organizzativa e pratiche di gestione delle risorse umane dovranno individuare le risposte più efficienti ed efficaci per implementare la strategia; la GRU progetta sistemi e pratiche per garantire il raggiungimento degli obiettivi strategici, ma non influisce sulla formulazione del piano strategico, andando a delineare quindi un approccio molto limitato; • approccio a due vie: è presente un’influenza reciproca tra le due dimensioni, in quanto anche la gestione delle risorse umane condiziona in qualche modo la strategia, assumendo un ruolo più attivo. Nel modello soft si valorizzano le premesse teoriche e concettuali della RBV, assegnando una rilevanza significativa alle RU e alla loro gestione. L’elemento decisivo per il successo dell’impresa sono le persone perché attraverso le loro conoscenze e competenze si costruisce il vantaggio competitivo. STRATEGIC HUMAN RESOURCE MANAGEMENT Questa idea porta alla definizione del filone di ricerca, interno all’azienda, denominato Strategic Human Resource Management, che si propone di rappresentare un punto di incontro tra la letteratura strategica e quella di HRM. Si possono identificare tre principali obiettivi del SHRM: 1) integrare le strategie e politiche HR con la business strategy e garantire un allineamento tra le singole pratiche di gestione delle risorse umane; 2) fornire un indirizzo e una direzione chiari in un ambiente spesso incerto e turbolento, in modo da rispondere alle esogene del business e degli individui con l’implementazione di coerenti pratiche di HR; 3) contribuire alla formulazione delle strategie aziendali puntando sui punti di forza delle risorse umane. In questa prospettiva si inserisce l’approccio integrativo a completamento della ricostruzione delle possibili relazioni fra strategia e gestione delle risorse umane, che afferma l’esistenza di un rapporto dinamico tra di esse, in cui il management HR è parte integrante del vertice strategico dell’impresa. La possibilità concreta che i sistemi di gestione delle risorse umane creino valore per l’impresa è strettamente legata alle competenze e al ruolo della funzione HR, dei suoi manager e professionali. Le competenze di questi ultimi sono collegate con il successo degli individui e dell’organizzazione; si ritiene che i manager e professional HR debbano: • avere una buona conoscenza del business; • essere eccellenti nelle conoscenze e abilità richieste dalla loro funzione;

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• saper gestire processi di cambiamento, sviluppare una adeguata cultura aziendale ed essere credibili professionalmente. LE COMPETENZE DELLA FUNZIONE HR Ulrich ha sviluppato un modello di competenze divenuto punto di riferimento per la pratica di HRM. Secondo Ulrich i manager e professional HR, irretiti dal fascino di vecchi miti e falsi miti, hanno dedicato troppo poco tempo a costruire una professionalità che fosse fondata su una definizione chiara dei risultati attesi, su una specifica disciplina articolata in competenze e conoscenze, sull’individuazione di standard professionali ed etici stabiliti e monitorati da qualche autorità, su un ruolo chiaro e ben definito. Occorre che essi acquisiscano la consapevolezza che è richiesto loro di interpretare e agire un ruolo non facile, perché molteplice e dinamico; il modello prevede quattro ruoli chiave, a ciascun ruolo viene associata una metafora per individuare le principali attività che lo caratterizzano. Quando l’HR è impegnato ad allineare politiche, processi e strumenti alle strategie d’impresa, agirà nella veste di Strategic Partner e la sua performance sarà misurata dall’execution, ossia la capacità di implementare correttamente i piani e le decisioni strategiche dell’organizzazione. Opererà come Administrative Expert nelle attività di fornitura di servizi come reclutamento e selezione, formazione o valutazione, sviluppo e gestione delle ricompense. Assumerà la veste di Employee Champion quando, con il contributo di strumenti di ascolto e comprensione delle attese delle persone, si farà portavoce delle loro esigenze per costruire efficaci risposte ai loro bisogni. Infine sarà Change Agent quando supporterà leader, manager e collaboratori nella gestione delle trasformazioni, contribuendo a costruire capacità di gestione del cambiamento. La sfida che essi hanno di fronte è di agire nella prospettiva della business partnership attraverso la gestione professionale e contestuale delle responsabilità proprie di tutti questi ruoli, assicurando i risultati attesi da ciascuno. La business partnership non risiede soltanto nell’allineamento delle priorità HR alle strategie dell’impresa, ma comprende anche servizi più tradizionali HR. Di recente è stata riformulata l’impostazione originaria del modello di Ulrich, spostando il focus dalla business partnership all’individuazione di uno schema che potesse essere utile per orientare e disegnare lo sviluppo dei contenuti e ambiti della leadership HR. Vi erano critiche circa il modello originario che sottolineavano come la costruzione proposta evidenziasse un’eccessiva dipendenza del ruolo e delle attività HR dagli imperativi e dalle esigenze del business. Ulrich quindi propone una nuova sintesi dei ruoli HR, che assegna maggior rilievo ai dipendenti, alla loro motivazione e all’esigenza di sviluppare effettive capacità di ascolto e di engagement delle persone per il successo dell’organizzazione. La professionalità HR deve esprimersi attraverso: • relazioni credibili e proattive; • efficace ed efficiente gestione di processi operativi; • capacità organizzative. DALLA BUSINESS PARTNERSHIP ALLA MULTI-STAKEHOLDER PARTNERSHIP Infine manager e professional HR devono cercare un bilanciamento tra le ragioni di efficienza ed efficacia, confrontandosi e dovendo accogliere le molteplici prospettive di stakeholders sempre più numerosi ed esigenti. Una critica avanzata ai modelli di HR è quella della scarsa attenzione rivolta alla prospettiva dei dipendenti a vantaggio di quella del management; il modello di Ulrich, anche se mitigato dai successivi aggiornamenti, non terrebbe in dovuta considerazione le sollecitazioni provenienti dalla teoria degli stakeholder. Si fa sempre più pressante quindi la domanda di un ruolo HR che, assumendo le competenze necessarie a gestire la complessità, rilegga la missione della funzione e dei suoi professionisti nella prospettiva di una multi-stakeholder partnership.

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2. Organizzare l’impresa e la gestione delle risorse umane. Le organizzazioni si costituiscono perché un insieme di individui possa ottenere un risultato desiderato coordinando in modo efficace i propri sforzi. La struttura organizzativa è uno degli strumenti che permettono di realizzare il coordinamento e si sostanzia nella delineazione su base relativamente stabile di un sistema di ruoli che definiscono le attese di comportamento verso i singoli operatori, nonché di un sistema di relazioni e procedure in grado di regolare le loro reciproche interazioni. Il criterio che ispira la divisione dei compiti fra gli organi che costituiscono il primo livello della struttura organizzativa corrisponde alla sua dimensione orizzontale, mentre le modalità di distribuzione dei diritti di decisione e controllo fra i vari livelli gerarchici ne definiscono la dimensione verticale. Le forme di relazione e le procedure previste per regolare le interazioni fra le singole unità vengono a costituire il complesso dei sistemi di integrazione. Varie sono le caratteristiche fondamentali delle cinque forme chiave di struttura organizzativa, che sono: • FORME SEMPLICI: caratterizzate da una limitata articolazione della struttura in livelli gerarchici ed organi specialistici, e dall’impiego di sistemi di integrazione poco complessi e variati. Limitato ricorso a strutturazione di norme, regole e procedure, mentre è elevato il grado di accentramento dei flussi informativi e decisionali verso il vertice aziendale. I sistemi sono poco sviluppati, la gestione del personale è svolta direttamente dall’imprenditore, che supervisiona i comportamenti dei propri collaboratori e si avvale di sistemi soggettivi di retribuzione. Questa situazione è sostenibile solo se i volumi di attività non crescono in maniera eccessiva ed il contesto competitivo presenta tratti di relativa stabilità. Se queste condizioni vengono meno occorre definire un primo livello di specializzazione lungo la dimensione orizzontale. Il passaggio chiave è costruire almeno un livello intermedio di responsabilità direzionale, scelta necessaria quando lo sviluppo della strategia determina una grande crescita aziendale. Si introduce una linea manageriale intermedia come filtro fra vertice strategico e nucleo operativo. La linea intermedia svolge la funzione verso il basso, traducendo gli obiettivi strategici in sotto- obiettivi più precisi, e verso l’alto con la raccolta, selezione e aggregazione delle informazioni relative alle prestazioni del sistema organizzativo. Al manager intermedio può essere assegnata la responsabilità di un’unità funzionale, che implica lo svolgimento di attività di coordinamento simili a quelle svolte dal vertice nella forma semplice. Viene meno l’unitarietà, scomposta in un insieme di quasiimprese relativamente indipendenti dal punto di vista gestionale. Se crescono ancora le dimensioni aziendali il manager di livello intermedio non basta più; bisognerà aggiungere altri livelli di delega, allungando la linea intermedia fino a creare una vera e propria gerarchia manageriale. L’ampiezza del controllo definisce le dimensioni ideali della supervisione e della responsabilità manageriale e corrisponde al numero di subordinati direttamente controllati da ogni singolo capo. Vengono anche costituiti organi esterni alla struttura, le staff, che possono svolgere funzioni di progettazione dei sistemi di funzionamento dell’organizzazione, oppure produzione ed erogazione di servizi a vantaggio delle altre unità organizzative. Le prime sono chiamate tecnostrutture e, pur non partecipando direttamente al flusso di lavoro, hanno su di esso una grande influenza in quanto contribuiscono a definirne le condizioni e le modalità di svolgimento. Le staff di servizio, invece, comprendono le unità che svolgono attività non direttamente connesse alla gestione caratteristica, ma costituiscono un supporto per il resto dell’organizzazione. La struttura quindi si articola in cinque parti, con specifiche finalità: • nucleo operativo, che presidia le attività di gestione caratteristica; • le staff, che supportano i processi operativi; • la tecnostruttura, che definisce gli standard di funzionamento; • la linea intermedia, che gestisce il coordinamento delle unità organizzative implementando la strategia aziendale; • il vertice strategico, che stabilisce la strategia, gli obiettivi e le politiche aziendali. • FORME FUNZIONALI: tipica di imprese che abbiano scelto di svilupparsi mantenendo un’elevata focalizzazione su un singolo settore. Agli organi di primo livello viene assegnata la responsabilità di gruppi di processi affini in senso tecnico ed economico; si definiscono le diverse funzioni aziendali. Si ha una progressiva riduzione della centralizzazione e la necessità di ulteriore evoluzione e formalizzazione dei sistemi operativi. Le funzioni sono libere di agire nel perseguimento dei propri obiettivi, nei limiti delle deleghe in atto. I vantaggi sono individuabili

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nell’induzione di una maggiore qualità delle competenze tecnico-specialistiche degli operatori, e nello sfruttamento di potenziali economie di scala. Il primo vantaggio è spiegato con il fatto che i responsabili delle unità funzionali si trovano a dover risolvere problemi simili dal punto di vista tecnico, seppur riferiti ad aree di affari diversi; così vi è la possibilità di ripetere gli stessi processi decisionali, raffinando i propri schemi cognitivi e acquisendo nuove conoscenze. Gli svantaggi sono la tendenza alla burocratizzazione e alla compartimentalizzazione, la conseguente lentezza nella risposta alle dinamiche ambientali. Infatti le unità organizzative adottano procedure interne relativamente rigide; in condizioni di elevato dinamismo ambientale, può accadere che le funzioni raggiungano tutte i propri obiettivi, scaricandosi però l’un l’atra “diseconomie esterne” a causa della scarsa collaborazione. FORME DIVISIONALI: con il passaggio a questa forma si realizza un ulteriore livello di decentramento: il direttore di una divisione dispone del controllo diretto su tutte le risorse funzionali necessarie per la gestione operativa delle attività di propria competenza e può rispondere più rapidamente alle richieste provenienti dal mercato di riferimento. Il vertice aziendale si pone come autorità arbitrale fra le parti, ma i sistemi di integrazione che vengono utilizzati sono molteplici e seguono una impostazione per centro di profitto dal momento che la gestione semi indipendente permette ad ogni divisione di calcolare i ricavi e i costi specifici di propria competenza. I vantaggi di questa forma sono la massimizzazione del coordinamento fra le funzioni all’interno di ogni singola divisione, ed è in parte possibile adattare le logiche di gestione del personale alle caratteristiche di ogni singolo business, mentre in una forma funzionale, per garantire equità di trattamento, è necessario definirle in modo omogeneo. Svantaggio tipico è la perdita delle economie di scala, perché invece di costruire singole unità funzionali di dimensioni elevate diventa necessario organizzare tante quante sono le divisioni, riducendo le dimensioni, con il rischio di non raggiungere le soglie minime che rendono efficiente un’unità. Secondo problema è che ogni divisione cercherà di ottenere dal vertice aziendale maggiori risorse finanziarie e attenzione strategica per il proprio sviluppo, anche a discapito delle altre divisioni. FORME AD ALTA DIFFERENZIAZIONE E INTEGRAZIONE: le imprese possono introdurre alcune varianti allo schema tradizionale, potenziando l’azione degli organi direttivi con ulteriori investimenti in meccanismi di integrazione, oppure l’aggiunta di posizioni e unità che hanno il compito di affrontare i problemi più critici. Tra queste forme troviamo: i comitati, organi collegiali ai quali partecipano i rappresentati delle funzioni direttamente interessate all’assunzione di una data classe di decisioni; essi hanno natura permanente e la loro potenza deriva dalla migliore comunicazione che si instaura fra le diverse funzioni; i gruppi di lavoro, aggregazione temporanea di specialisti provenienti dalle diverse funzioni per la realizzazione di specifici progetti; le task force, diverse dai gruppi in quanto il personale viene assegnato a tempo pieno al progetto a motivo della sua particolare criticità, urgenza o innovatività. L’oriz...


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