Relazione Casa Farnsworth PDF

Title Relazione Casa Farnsworth
Author Giulia Nzahx
Course Tecnologie dei materiali
Institution Politecnico di Milano
Pages 15
File Size 597.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 21
Total Views 148

Summary

Relazione ''Casa Farnsworth''- Ludwig Mies van der Rohe, presentazione per esame orale...


Description

Scuola di Architettura e Società e di Architettura Civile – C.d.L. in Progettazione dell’Architettura Corso di Fondamenti di tecnologia dell’architettura, Prof. Maria Pilar Vettori

VILLA FARNSWORTH Ludwig Mies Van der Rohe, Plano (USA), 1945-1951

Martina Mantovani matr. 859859 Noemi Marano matr. 860621 Giulia Elisa Martignoni matr. 860418

INDICE Introduzione

pag. 1

Pensiero

pag. 2

Opera

pag. 7

Struttura

pag. 9

Chiusura

pag. 11

Partizioni interne ed esterne

pag. 11

Impianti

pag. 12

Attrezzature

pag.12

Bibliografia

pag. 13

Sitografia

pag. 13

INTRODUZIONE

Con il progetto di Casa Farnsworth, opera dell’età matura, Mies si allontana dalla concezione neoplastica che aveva caratterizzato le opere precedenti, e formula un ideale di purezza da alcuni definito come moderno classicismo. La classicità si manifesta nella modularità, sottolineata dal posizionamento dei pilastri, e il modernismo è espresso dalla struttura in acciaio, dall’evanescenza del vetro e dalla concezione dello spazio. Casa Farnsworth, Plano (illinois)

Casa Farnsworth a Plano, nell’Illinois, è una “gabbia di cristallo trasparente” la cui intelaiatura in acciaio verniciato di bianco costruisce le coordinate che rendono leggibile e caratterizzato lo spazio del paesaggio naturale in cui si inserisce. Una successione di piani orizzontali, sostegni verticali isolati, superfici verticali vetrate, un blocco pieno interno completamente staccato dal perimetro di vetro: questi, in sintesi, gli elementi costitutivi necessari a definire un’architettura così essenziale. Pochi elementi inseriti in un contesto naturale, che pur non cercando un inserimento mimetico con l’ambiente circostante, instaurano con esso un rapporto di integrazione spaziale. Questa “gabbia di osservazione”, calata entro il bosco, montata su una piattaforma artificiale, è una costruzione intesa a captare un ordine astratto del paesaggio, “un’impalcatura” che tende a “caratterizzare” il paesaggio stesso. Filtrata attraverso il mirino definito da questa struttura di coordinate spaziali, la natura si rende comprensibile, logica, razionale, dominabile, quindi ordinata. Per Mies van der Rohe l’architettura è una lente, un filtro, attraverso il quale la lettura della realtà si fa chiara, logicamente dominabile: uno strumento per astrarre dal caos della realtà elementi essenziali d’ordine. L’architettura dona allo spazio naturale, attraverso questo processo di astrazione, una struttura logico-matematica: lo misura secondo precise coordinate, introduce dei meridiani e dei paralleli che rendono possibile “fare il punto” della situazione reale. “Dobbiamo avere un ordine, ponendo ciascuna cosa al suo giusto posto e dando a ciascuna ciò che le spetta, secondo la sua natura. - continua Mies - E qui noi prenderemo posizione”. La “verità” dell’architettura sta nel saper scegliere un “giusto posto” e nello stabilirvi un “principio d’ordine”.

Pag. 1

PENSIERO

Ludwig Mies van der Rohe

Mies van der Rohe nacque il 27 marzo del 1886 ad Aquisgrana, Germania. Completati gli studi primari, dal 1899 il giovane lavorò nella bottega paterna di taglia-pietra e scalpellino, imparando a conoscere i segreti dei materiali lapidei. Successivamente si trasferì a Berlino, dove iniziò a lavorare come progettista di mobili. Nel 1907 entrò nello studio di Peter Behrens, dove rimase fino al 1912. Qui studiò l’architettura neoclassica che influenzò decisamente le sue prime opere. La sua carriera professionale «cosciente» incominciò nel 1910 circa; quando Jugendstil e Art Nouveau erano sorpassati. Gli edifici rappresentativi subivano più o meno l’influsso di Palladio e di Schinkel. Erano tempi veramente confusi, e nessuno voleva o poteva dire cosa fosse in realtà l’architettura. Tuttavia, egli si pose questo problema ed era deciso a trovare una risposta. «Quando ero giovane, iniziammo a chiedere a noi stessi: “Cosa è architettura?”. Lo chiedemmo a chiunque. Essi dicevano: “Quello che noi costruiamo è architettura”. Ma non eravamo soddisfatti di questa risposta. Finché capimmo che era una domanda inerente la verità: cercammo di scoprire che cosa realmente fosse la verità. Rimanemmo incantati trovando una definizione di verità di Tommaso d’Aquino: “Adaequatio rei et intellectus” (adeguazione dell’intelletto alla cosa). Non l’ho mai dimenticato». Mies legge molto, fin da giovanissimo, per avere le idee chiare su quanto accade, sui caratteri del nostro tempo e capire il significato di tutto. Il suo mestiere, il fare architettura, è il campo su cui mette in gioco le questioni fondamentali: «Dobbiamo mirare al nocciolo della verità. Le domande relative all’essenza delle cose sono le uniche domande importanti». In architettura, per Mies, la verità ha a che fare innanzitutto con il tema della costruzione. L’architettura stessa è, nella sua definizione, «chiarezza costruttiva portata alla sua espressione esatta». Che cosa intenda per «chiarezza costruttiva» si comprende bene quando parla della cappella di Aquisgrana: «Ricordo che ad Aquisgrana, la mia città natale, c’era la cattedrale e la cappella era un edificio ottagonale fatto costruire da Carlo Magno. Nei secoli questa cattedrale è stata trasformata. In età barocca la intonacarono interamente e aggiunsero delle decorazioni. Quand’ero ragazzo tolsero l’intonaco. Poi però non poterono andare avanti perché vennero a mancare i fondi e così si potevano vedere le pietre originali. Guardando la costruzione antica priva di riPag.2

vestimenti, osservando le belle murature in pietra o in mattoni, una costruzione limpida, fatta da artigiani davvero bravi, sentivo che avrei rinunciato a tutto per un simile edificio». Nel campo del costruire la tecnica offriva nuovi materiali e metodi pratici di lavoro che spesso si trovavano contro la nostra concezione tradizionale dell’architettura. Mies credeva perciò alla possibilità di sviluppare un’architettura con questi nuovi mezzi. Ogni sua costruzione era una dimostrazione di questa idea e un passo avanti nel processo della sua ricerca di chiarezza. Era sempre più convinto che questi nuovi sviluppi tecnici e scientifici fossero le vere premesse di un’architettura del suo tempo. La vera architettura è sempre oggettiva, ed è espressione dell’intima struttura dell’epoca nel cui contesto si sviluppa. Mies collaborò con la rivista G, che nacque nel luglio 1923. Quando lavorò come direttore artistico del progetto Weissenhof, diede il suo maggiore contributo alla filosofia architettonica. Durante questo periodo disegnò numerosi edifici, tra i quali il Padiglione di Barcellona e la Villa Tugendhat. Nella seconda metà degli anni ‘30 dovette lasciare il paese, amareggiato, per l’ascesa del potere nazista. Arrivato negli Stati Uniti, la sua influenza come designer era già notevole, egli, infatti, aveva vinto numerosi e importanti concorsi per la progettazione di opere architettoniche. Mies cercò di creare spazi contemplativi, neutrali, attraverso un’architettura basata su un’onestà materiale e integrità strutturale, con uno studio esemplare del particolare architettonico. Negli ultimi vent’anni di vita, Mies van der Rohe giunse alla visione di un’architettura monumentale. I suoi ultimi lavori offrono la visione di una vita dedicata all’idea di un’architettura universale semplificata ed essenziale. Mies van der Rohe si stabilì a Chicago, dove divenne il preside della scuola di architettura al Chicago’s Armour Institute of Technology (più tardi rinominato Illinois Institute of Technology IIT). La sua condizione, accettando il posto, fu che gli fosse concesso di ridisegnare il campus. Alcuni dei suoi più famosi edifici si trovano ancora qui, come la Crown Hall, la sede dell’istituto. Dal 1946 al 1950, Mies van der Rohe costruì la Farnsworth House per Edith Farnsworth, un ricco medico di Chicago. Fu la prima casa costruita da Mies van der Rohe negli Usa. Nel 1958, costruì quella che è considerata l’espressione massima dell’International Style dell’architettura, il Seagram Building, a New York. È un grande edificio di vetro, ma nonostante tutto Mies van der Rohe scelse di inserire una grande piazza con fontana davanti alla struttura, creando uno spazio aperto a Park Avenue. Negli anni successivi gli fu conferito dal presidente degli Stati Uniti, la medaglia presidenziale della libertà. Mies van der Rohe muore il 17 agosto 1969 a Chicago. Pag. 3

La premessa teorica dell’opera di Mies è la volontà di costruire un’architettura moderna, liberata dalla sovrastruttura dell’architettura ottocentesca. Un’architettura espressiva dei valori del proprio tempo, così come lo sono gli edifici antichi: le cattedrali romaniche e gotiche, gli acquedotti romani e i moderni ponti sospesi, architetture dalla cui forza Mies rimane impressionato. «Tutti gli stili, i grandi stili, erano passati, ma essi erano ancora lì». «L’architettura è sempre legata al proprio tempo. Il nostro tempo non è per noi una strada estranea su cui corriamo. Ci è stato affidato come un compito che dobbiamo assolvere. Da quando l’ho capito, ho deciso che non avrei mai considerato con favore le mode in architettura e che dovevo cercare principi più profondi. L’essenza dell’epoca è l’unica cosa che possiamo esprimere davvero». Ma quali sono i valori di un’epoca e come si riconoscono? «Capire un’epoca – scrive – significa capire la sua essenza e non ogni cosa ci venga innanzi agli occhi». Per Mies il ‘900 è l’epoca dell’economia, della scienza, della tecnologia: «Niente più avviene che non sia osservabile. Dominiamo noi stessi e il mondo in cui ci troviamo. La forza guida del nostro tempo è l’economia». Qual è allora il ruolo dell’architetto in un tempo così descritto? «Dobbiamo accettarlo – afferma – anche se le sue forze ci appaiono così minacciose. Dobbiamo diventare padroni delle forze incontrollate e disporle in un nuovo ordine, ossia un ordine che dia libero spazio al dispiegamento della vita. Sì, però un ordine che si riferisca agli uomini». Non si tratta di ritirarsi dal proprio tempo né di rimpiangere epoche passate. Al contrario, «per quanto gigantesco possa essere l’apparato economico, per quanto potente la tecnica, tutto ciò è soltanto materiale grezzo se confrontato con la vita. Non abbiamo bisogno di meno tecnica, bensì di più tecnica. Non abbiamo bisogno di meno scienza, ma di una scienza più spirituale; non di minori energie economiche, bensì di energie più mature». Mies dà al Movimento Moderno una declinazione che potremmo definire umana. Egli si pone come missione di “umanizzare” il mo erno, cogliendo quanto potessero essere pericolose quelle posizioni ideologiche che identificavano la modernità con il mito del progresso e della tecnica. Orientare la tecnica al servizio dell’uomo, e darle forma, sarà il lavoro di una vita. Tutto il lavoro di Mies e della sua scuola si fonda su due pilastri fondamentali: ordine e razionalità. Per Mies l’ordine non è qualcosa che si impone ma qualcosa che va cercato e trovato, il risultato di un processo di conoscenza della natura delle cose. L’architettura, allora, non è altro che una forma di conoscenza della realtà, la ricerca della forma che più risponde alla natura delle cose. La forma è il risultato di un percorso razionale, che non ha nulla a che vedere col fantasioso o l’arbitrario, ma che procede di Pag. 4

scelta in scelta, dalla complessità all’essenzialità, fino al punto in cui nulla può essere aggiunto e nulla tolto. La misura esatta, l’esatta proporzione, il giusto uso del materiale. Si può allora comprendere la sua frase più famosa – “Less is more” – al di là del banale minimalismo e razionalismo cui spesso viene ridotta: la semplificazione non è fine a se stessa, non è uno stile né un linguaggio, ma la riduzione della complessità dei fenomeni della realtà alla loro qualità essenziale. Ciò che porta Mies a realizzare architetture classiche e al contempo moderne. Senza tempo. La filosofia progettuale di Mies è guidata dalla tecnologia dell’era moderna. Egli credeva che l’individuo potesse e dovesse esistere in armonia con la cultura del suo tempo. La sua carriera è stata una lunga e paziente ricerca per un’architettura che fosse il vero prodotto della sua epoca, oltre che una chiara manifestazione sul posto dell’individuo nella sua era, quella caratterizzata dal rapido sviluppo tecnologico e dalla produzione industriale di massa. Con la sua architettura, Mies ha voluto creare uno strumento di riconciliazione tra l’individuo e la nuova società. Progetta in modo che il suo edificio sia flessibile e che non ostacoli lo sviluppo dell’individuo, pur con l’anonimato che contraddistingue la cultura moderna. I materiali dei suoi edifici, come l’acciaio e le lastre di vetro, sono la diretta espressione dell’era moderna, ma bisogna considerare anche i materiali nobili usati, come il travertino e i legni esotici, che ne rappresentano il lusso. Ricollegare l’uomo alla natura è la più grande sfida di una società urbanizzata. “Dovremmo cercare di portare la natura, le case e l’essere umano a una superiore unità” diceva Mies. I muri di vetro e gli spazi interni aperti creano un’intensa connessione con l’ambiente esterno, mentre la struttura esterna con i vetri opachi riduce l’impatto dell’edificio al minimo. L’attenzione per il sito di progetto e l’integrazione con l’ambiente esterno, rappresenta l’impegno per sposare l’architettura con l’ambiente. In questo senso l’architettura diviene un tutto unico con la natura che la circonda: non certo per mimetismo, ma per essere il “prisma” attraverso il quale il mondo è percepito. In tal senso, la Natura non è mai “toccata o guardata”, ma “percepita” ovvero fatta propria dall’osservatore. “Non è il cosa che è importante, ma soltanto il come” - aveva sentenziato Mies. Il fine dell’architettura è di essere un “medium” attraverso il quale si possa attingere la “verità” delle cose. Nella casa Farnsworth, non è tanto importante l’immagine che la casa mostra di sé all’interno del bosco, quanto lo è l’immagine che la casa aiuta a estrapolare del paesaggio che le sta intorno. Il pensiero di Mies, la sua azione, il suo linguaggio erano sempre un «costruire». Egli non improvvisava, ma dopo un’attenta anaPag. 5

lisi e molti schizzi di dettaglio, esaminava le possibilità e i limiti di ogni elemento, fino a che questo si lasciava inserire nell’insieme. Il risultato dello sviluppo non veniva fissato solo nel disegno, ma contemporaneamente nel modello. Disegno e modello stavano così in stretta sintonia. Al laboratorio Mies attribuiva la massima importanza, in quanto qui creava i plastici. Quando il ritmo di una struttura d’acciaio, per esempio, non risultava chiaramente dalla rappresentazione grafica, bisognava eseguire il modello. Mies costruì o progettò edifici caratterizzati da una netta separazione tra gli elementi strutturali portanti e la libera articolazione degli spazi interni attraverso pareti divisorie non portanti. Il tetto poggia su muri di mattoni o su una serie di pilastri regolarmente distribuiti. Questa disposizione libera la pianta e permette gli accorgimenti necessari a soddisfare il bisogno di aria, luce e verde. Ciò spiega anche come lo spazio vuoto diventa per Mies il materiale vero della conformazione architettonica, in una concezione fortemente anticipatrice di tendenze contemporanee. Dopo la casa Tugendhat del 1930, Mies si concentrò soprattutto sugli studi teorici di una casa a corte. Era il discorso in parte già iniziato nel 1923 con la villa in mattoni e poi magistralmente interpretato nel padiglione di Barcellona: ma da una forma dinamicamente articolata e integrata nell’ambiente, Mies passò a un tipo edilizio chiuso su se stesso, circondato dai muri di mattoni e comunicante con l’esterno attraverso piccole aperture.

Pag. 6

OPERA

È il 1945 quando Edith Farnworth, 42enne medico specialista di Chicago, incontra a un dinner party l’architetto tedesco, naturalizzato americano, Ludwig Mies van der Rohe e gli parla della propria intenzione di costruire una casa per il fine settimana nel terreno di sua proprietà, adiacente al Fox River. Mies è interessato e dopo alcuni sopralluoghi accetta di redigere il progetto. La committenza è chiara: si tratta di un edificio per una donna sola da usare per il week-end. Il progetto prende forma nel 1946 e si configura in una versione matura nel 1947, anno in cui è esposto al Museo di Arte Moderna di New York. La costruzione della casa venne terminata nel 1951. Contesto in cui è posizionata casa FarnIl terreno scelto è a Plano, a un centinaio di chilometri a sud-ovest di sworth Chicago, soggetto al rischio delle piene periodiche del Fox River. L’architetto per questo motivo, decide di sospendere l’edificio da terra di circa 1,6 m, conferendo alla costruzione quella lievità poi accentuata dalla struttura leggera in acciaio e dalle “pareti” vetrate che la avvolgono. La casa è considerata la più completa e raffinata espressione del genio di Mies, l’essenza della sua architettura è caratterizzata da ciò che viene definito “almost nothing”: la purezza dei dettagli e il limitato uso degli elementi che la compongono, che sembra stiano insieme grazie una forza magnetica. Già nel 1954 la casa era stata sommersa dall’acqua, ma è nel 1996 ci fu una piena eccezionale, che arrivò persino a sommergere la casa a 1,5 m sopra il livello del pavimento, seguita da un’altra piena l’anno successivo. Queste piene provocarono ingenti danni a tutta la struttura mettendo in evidenza il cambio di condizioni del sito e l’esigenza urgente di adottare dei provvedimenti. Per le modifiche, sono stati proposti diversi progetti: alcuni prevedevano lo spostamento dell’edificio in un punto più protetto, altri l’introduzione di un sistema pneumatico per alzarlo da terra. Le soluzioni sono attualmente al vaglio del National Trust for Historic Preservation, che oggi gestisce la proprietà. Piani orizzontali opachi, superfici verticali trasparenti: in estrema sintesi sono queste le caratteristiche di casa FarnsworCasa Farnsworth durante l’inondazione del th. Può sembrare una valutazione riduttiva, ma non lo è. Si tratta, in effetti, di un’architettura semplice, obiettivo diffici1996 le da raggiungere, che rende protagonista la natura circostante, la valorizza e instaura con essa un rapporto inscindibile. Gli aspetti da evidenziare in quest’opera sono, dunque, il classicismo dell’impianto, il sistema costruttivo, che lo trasforma in “tempio” in acciaio, e la trasparenza dell’involucro, che scandisce nella fruizione spaziale un susseguirsi di momenti di contemplazione della natura. La particolarità di questo “tempio” è, però, data dal fatto che è realizzato con un sistema costruttivo che caratterizza fortemente l’architettura americana del XX secolo: la struttura in acciaio. Pag. 7

La scelta non ha valenza soltanto tecnica, ma diventa anche espressiva, in quanto contrappone alla logica del cemento armato, che cristallizza la forma finale in un unico monolite, quella della composizione di elementi in ferro, che rimangono riconoscibili come singole parole all’interno di una frase o di un racconto, organizzato secondo regole grammaticali e sintattiche. Sono invece importanti i particolari costruttivi, lo studio dei dettagli, aspetti fondamentali per la comprensione dell’opera di Mies: il dettaglio per l’architetto tedesco non è soltanto il mezzo per risolvere un problema esecutivo ma diventa momento di controllo per dar forma corretta ai materiali. Un’opera della maturità, dunque, in cui le prime influenze neoplastiche lasciano il posto a un’impostazione in cui la classicità si manifesta nella modularità, sottolineata dal posizionamento dei pilastri.

Disegno a matita Sketches&Illustrations di Patty Piturlea

“La casa Farnsworth - diceva Mies in un’intervista concessa nel 1959 - credo non sia mai stata veramente capita. Io personalmente sono stato in quella casa dalla mattina alla sera. Fino a quel momento non avevo saputo quanto la Natura possa essere piena di colori. Si deve avere l’attenzione di usare ...


Similar Free PDFs