Serianni Riassunto PDF

Title Serianni Riassunto
Author Peppe Spanò
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Macerata
Pages 24
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Summary

Scritto e parlato (I) 1. Parole, espressioni e gesti Ogni lingua, antica o moderna, o stata una lingua parlata. che caratterizza la specie umana rispetto agli animali la di produrre suoni articolati, esprimendo con pochi elementi (i fonemi), combinati tra loro, una serie infinita di significati. Con...


Description

Scritto e parlato (I)

1. Parole, espressioni e gesti Ogni lingua, antica o moderna, è o è stata una lingua parlata. Ciò che caratterizza la specie umana rispetto agli animali è la capacità di produrre suoni articolati, esprimendo con pochi elementi (i fonemi), combinati tra loro, una serie infinita di significati. Con la lingua possiamo dire tutto, e tutti possono dirlo: anche l’analfabeta è infallibile in fonetica, morfologia e sintassi riguardo la propria lingua. Soltanto il suo vocabolario è più povero rispetto a quello di una persona istruita. Accanto al linguaggio parlato, sussistono dei codici secondari: - Il linguaggio mimico, cioè l’atteggiamento del volto e soprattutto dello sguardo. La mimica può bastare per esprimere un sentimento generale, come approvazione o disapprovazione. La posizione delle labbra, in particolare, per esprimere gioia può affidarsi al disegno di un semicerchio aperto verso l’alto; la stessa figura rovesciata, con le labbra piegate verso il basso, esprime tristezza o ira. Di norma il linguaggio mimico serve da sussidio a quello verbale, per rafforzarne i contenuti o segnalarne la corretta chiave di lettura. - Il linguaggio gestuale, cioè l’insieme dei gesti che compiamo soprattutto con le mani e la testa. Il gesto fondamentale è quello di affermare o negare: in tutta Italia si dice sì muovendo il capo dall’altro in basso una o più volte; per dire no si muove la testa in direzione orizzontale, da sinistra a destra e viceversa. - Il linguaggio prossemico, legato alla distanza fisica che stabiliamo col nostro interlocutore. In molte culture la distanza si stabilisce in base al grado di confidenza: più vicini siamo all’interlocutore, più siamo a nostro agio, sentendoci parte di un rapporto paritario; se invece manteniamo le distanze, significa che proviamo un sentimento di rispetto o soggezione nei confronti dell’interlocutore. Nella prossemica rientra anche la postura del corpo, eretto o piegato. Questi tre linguaggi sono ausiliari rispetto al parlato: tranne che per i sordomuti (che hanno elaborato un complesso sistema gestuale per comunicare) sono rari i casi in cui un’espressione o un gesto possano davvero sostituire il linguaggio verbale.

2. Parlare e scrivere: presupposizione e deissi La prima differenza fondamentale tra parlato e scritto: il parlato esaurisce la sua funzione nell’immediatezza della comunicazione e, tranne poche situazioni in cui ha il potere di agire sulla realtà (il sì del matrimonio o la sentenza di un giudice), è il veicolo della quotidianità individuale, che coinvolge poche persone e non aspira quasi mai a lasciare traccia di sé nel tempo. Lo scritto si rivolge invece, in modo più o meno dichiarato, anche a destinatari lontani temporalmente o psicologicamente. Perché abbia senso l’azione stessa del parlare occorre che ci siano degli interlocutori interessati ad ascoltarci ed interagire con noi, esattamente nel momento e nella situazione in cui noi realizziamo il nostro discorso. Con lo scritto, invece, possiamo rivolgerci ad un pubblico indifferenziato: non solo ai posteri, ma anche a destinatari imprevisti, che potrebbero avere interesse a prendere conoscenza di quel che noi abbiamo scritto. Il parlato è molto più libero dello scritto: ha un minore controllo (non si preoccupa di scegliere le parole più appropriate, né di evitare ridondanze e ripetizioni), una minore pianificazione (le frasi sono brevi, spesso non collegate sintatticamente, vi sono numerose false partenze e periodi in 1

sospeso), un minore obbligo di esplicitare le circostanze della comunicazione (il parlato può permettersi di essere implicito, facendo riferimento al contesto in cui la comunicazione si svolge, in particolare a due meccanismi fondamentali: presupposizione e deissi). La presupposizione consiste nel dare per noto un elemento non esplicitato nel discorso, perché ricavabile dalle conoscenze dell’interlocutore o dal modo in cui il discorso viene presentato. La deissi consiste nel riferimento al contesto, in relazione al tempo (es. avverbi ieri, oggi), allo spazio (qui, lì, questo, quello), o alle persone implicate (io, tu). Naturalmente, ci sono delle eccezioni sia nello scritto (presupposizione e deissi possono aver spazio nelle comunicazioni di tipo privato, dalle vecchie lettere ai moderni SMS) che nel parlato (si possono avere dialoghi dissimmetrici, in cui i due interlocutori non sono sullo stesso piano come prestigio e dunque nemmeno come spontaneità di lingua, e i monologhi in cui non è prevista o non è abituale l’interazione con gli interlocutori: in questi casi la spontaneità è ridotta, trattandosi di un parlato programmato).

3. Differenze tra parlato e scritto Rispetto allo scritto, il parlato di norma presenta i seguenti tratti: - Possibilità di retroazione (feed-back). Chi parla può intervenire immediatamente a correggere i disturbi della comunicazione: accogliendo un’interruzione altrui o ripetendo in altra forma quel che sta dicendo, e che non è stato colto dall’interlocutore a casa di un rumore extra-linguistico o di una momentanea caduta di attenzione. Per questo il discorso orale è ridondante: dice molto più del necessario, dando per scontato che parte delle informazioni è destinata a perdersi. - Obbligo di svolgimento lineare. Col parlato non possiamo tornare indietro: il parlante può interrompersi, riprendere il già detto con nuove spiegazioni o contraddicendosi, ma è costretto ad accumulare ogni sequenza verbale in modo progressivo. Con lo scritto invece può organizzare la lettura a proprio piacimento: leggerlo dalla prima parola all’ultima, scorrerlo rapidamente per cercarne le informazioni essenziali, persino cominciare da un punto qualsiasi. In questo senso quindi il parlato è rigido, mentre lo scritto è duttile. - Limitazione alla sfera uditiva. Il testo scritto è fatto sia per essere letto ad alta voce, sia per essere letto in modo endofasico, cioè con una lettura mentale, non articolata. Per questo il testo scritto è più complesso. Deve soddisfare non solo l’orecchio, ma anche l’occhio: le parole devono essere separate anche dove, nella pronuncia, costituiscono un unico blocco; bisogna adottare adeguati segni grafici; rappresentare efficacemente la gerarchia delle informazioni e il procedere della narrazione andando a capo. In Italia la diffusione della lingua comune avvenuta soprattutto per via scritta e il prestigio della tradizione grammaticale hanno determinato norme molto rigide: nel parlato è normale lasciarsi andare a pronunce regionali, ma nello scritto ciò è motivo di squalifica sociale.

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Il testo e i suoi requisiti fondamentali (II)

1. Che cos’è un testo? La nozione di “testo” fa riferimento alla metafora del “tessuto”, della “trama” di singoli fili che dà vita a un insieme organico (dal latino “textus”  participio del verbo “texere”, tessere). Il testo quindi non è solo quello scritto, ma anche quello orale. Si parla quindi di testo in riferimento a qualsiasi produzione (orale o scritta) fatta con l’intenzione e con l’effetto di comunicare e in cui è possibile individuare un emittente e un destinatario. Es. La Divina Commedia di Dante e la targa “Uscita” in una sala cinematografica. Si tratta in entrambi i casi di produzioni linguistiche con contenuto comunicativo. La targa però ha un solo e puntuale significato, mentre il testo letterario può averne tanti. In entrambi i testi, inoltre, possiamo individuare un emittente e un ricevente, espliciti o impliciti. Nel testo letterario l’emittente è ovviamente l’autore, Dante; nel caso della targa è la legge o il gestore della sala. Il destinatario della targa è certamente il pubblico che si trova in sala, mentre nel caso del poema si parla di destinatario “aperto”, in quanto gli scrittori si rivolgono idealmente anche ai posteri e ai lettori di altre lingue (in riferimento all’epoca, Dante si rivolgeva certamente ai suoi contemporanei, utilizzando l’opera come mezzo di rinnovamento morale e religioso). Francesco Sabatini suddivide i testi a seconda che siano più o meno rigidi. Senza dubbio rientrano tra i testi molto rigidi i testi scientifici, che non ammettono margini d’interpretazione soggettiva o lasciano zone d’ombra. Anche il linguaggio giuridico presenta una notevole rigidità, benché non comparabile con quella di scienze “dure” come matematica o la chimica. All’estremo opposto sta invece il linguaggio poetico, soprattutto quello moderno: non esistono interpretazioni rigide. Non è difficile riconoscere un testo da un non-testo. I linguistici distinguono sette requisiti che devono essere rispettati perché si possa parlare di un testo. I due fondamentali sono la coesione e la coerenza. La coesione consiste nel rispetto dei rapporti grammaticali e della connessione sintattica tra le varie parti. I rapporti grammaticali possono essere violati in vari modi: - Non rispettando la concordanza di numero tra soggetto e predicato: ciò tuttavia può aver luogo in un parlante veneto il cui dialetto vuole la 3a e la 6a persona di molti tempi verbali identiche; oppure in italiano quando si ha un soggetto singolare di valore collettivo, spesso seguito dal complemento di specificazione, una gran quantità di animali, cani, gatti, popolavano le stanze della casa. Frasi del genere sono abituali nel parlato e nella narrativa contemporanea, ma vanno evitate nella prosa informativa e nella prosa letteraria più educata. Maggiore tolleranza si ha nei casi in cui il soggetto esprime un numero: una decina di persone se ne andarono prima della fine. - Non rispettando la concordanza di genere tra sostantivo e articolo, aggettivo o participio. - Non rispettando l’abituale ordine delle parole. Es. Toccherà al nuovo amministratore delegato completare le cessioni  ammette indifferentemente l’anticipazione del soggetto al predicato (Al nuovo amministratore delegato toccherà…) ma non quella del complemento oggetto (*le cessioni completare). Una sequenza del genere era possibile nell’italiano poetico dei secoli passati. La norma linguistica, quindi, va sempre misurata in riferimento a un’epoca, oltre che alla tipologia di testo.

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2. I coesivi Vediamo in quali modi si può richiamare un elemento espresso in precedenza. - Pronomi (dal latino “pronomen”  “pro”, che sta al posto di un nome), in particolare personali e dimostrativi. L’uso dei pronomi come coesivi si ha nello scritto e nel parlato. Nella lingua parlata non si usano molto come coesivi i pronomi dimostrativi (questo, quella, costoro) in funzione di soggetto; i pronomi personali impiegati sono lui, lei, loro, in riferimento a persone ed animali. Egli, ella, essi, esse sono forme tipicamente libresche, eccezionali nell’italiano parlato contemporaneo. - Sostituzione lessicale mediante sinonimi, iperonimi, nomi generali. Sono coesivi costituiti non da una forma grammaticale, ma da un vocabolo che condivide più o meno precisamente il significato di un altro (sinonimo: vecchio – anziano), lo include, mantenendo un carattere semanticamente specifico (iperonimo: gatto – felino) oppure lo include, ma ricorrendo a un termine di significato generico (cosa, fatto, persona). Tutte e tre le procedure sono presenti nella lingua scritta; il parlato preferisce il ricorso ai nomi generali. Iperonimi e nomi generali sono utilizzati nel linguaggio giuridico. - Riformulazione. Consiste nel sostituire al già detto un’espressione (singola parola o perifrasi) che richiami nel contesto, senza possibilità di dubbio, ciò di cui si è parlato. Il richiamo avviene facendo appello a una conoscenza largamente diffusa, ma funzione bene pure con conoscenze nuove. Es. Bonaparte o l’imperatore possono essere la riformulazione di Napoleone. Si evita così di ripetere il nome Napoleone facendo appello all’enciclopedia dei destinatari (conoscenze condivise da una certa comunità in un certo momento storico). Es. Andrea Zanzotto, molto meno noto, è riformulato con l’autore del “Galateo in bosco”. Pochissimi sono a conoscenza di quest’opera e del rispettivo autore. Eppure, qualsiasi lettore collega senza esitazione a Zanzotto il titolo del poema. Ciò avviene perché il contesto consente di incamerare una conoscenza nuova, attribuendola correttamente alla fonte grazie alla riformulazione. Il meccanismo potrebbe funzionare persino con meccanismi falsi - Ellissi. Consiste nell’omettere un riferimento esplicito al già detto: il contesto elimina ogni dubbio. L’ellissi è addirittura obbligatoria nell’italiano moderno quando il soggetto di una frase coordinata o subordinata è lo stesso della reggente. Nell’italiano antico i pronomi personali soggetti erano espressi molto più frequentemente e si potevano avere frasi che oggi sarebbero agrammaticali. In molti casi la soluzione migliore è la semplice ripetizione del già detto, non solo nel linguaggio parlato, ma anche in tipologie di linguaggio scritto diverse tra loro, come quello letterario e quello scientifico. Es. In retorica la ripetizione di una o più parole all’inizio di più enunciati posti in successione prende il nome di anafora. Quanto al linguaggio scientifico, basta leggere la voce cellula di un’enciclopedia scientifica: la parola, al singolare o al plurale, è ripetuta continuamente, con l’iniziale abbreviata c.

3. I connettivi Sono elementi che assicurano la coesione di un testo garantendo i rapporti logici e sintattici tra le varie parti. In primo luogo abbiamo le congiunzioni: non è arrivata perché ha perso il treno; penso, dunque esisto. Questi due connettivi, sostituiti in modo non adeguato, produrrebbero due frasi inaccettabili. Talvolta possono essere omessi, anche se l’omissione non ci consente sempre di esplicitare il rapporto sintattico tra due frasi. Es. Non è arrivata: ha perso il treno.  Perché ha perso il treno o quindi ha perso il treno –> cambia la strutta sintattica. 4

Quando mancano i connettivi, lo scritto si serve della punteggiatura “forte” per marcare il rapporto tra le due frasi: due punti, punto e virgola o punto fermo. La scrittura giornalistica usa in maniera limitata i connettivi, preferendo uno stile rapido che tende a frasi giustapposte o nominali. Possono essere usati come connettivi anche altre parti del discorso, come gli avverbi. Es. Veramente, le cose non sono andate così.  Veramente è qui utilizzato come connettivo che introduce un punto di vista diverso rispetto a un’asserzione altrui.

4. La coerenza La coesione riguarda il collegamento formale tra le varie parti di un testo, la coerenza invece riguarda il suo significato. La coesione dipende da requisiti presenti o assenti nel testo, la coerenza è legata invece alla reazione del destinatario, che deve valutare un certo testo chiaro e appropriato alla circostanza in cui è stato prodotto. Es. Oggi c’è bel tempo  testo coeso, ma non coerente. Le incoerenze logiche sono abituali in due fondamentali tipi di comunicazione scritta che, per ragioni diverse, puntano a sconcertare le attese del destinatario: linguaggio letterario e pubblicitario. Es. Quando D’Annunzio scrive “io nacqui ogni mattina” viola consapevolmente la coerenza logica, per suggerire che ogni mattina si sente come rinnovato, rinato. Lo stesso vale per la pubblicità. Un testo informativo o argomentativo, invece, non può permettersi di violare tale requisito. Tuttavia può violare altri aspetti della coerenza: quella semantica e stilistica. La prima è legata all’uso della parola specificamente richiesta in un certo contesto (I genitori devono coltivare i figli). La seconda richiede un registro congruente con un certo tipo di testo (in un verbale di polizia non leggiamo “Il carcerato ha fregato le guardie”, ma “Il detenuto ha eluso la sorveglianza”). Importante la distinzione tra due tipologie che si collocano agli antipodi: il parlato colloquiale e la prosa informativa o argomentativa. Nel primo tipo i requisiti testuali sono tutti facoltativi, tranne quello della coerenza logica. Nel secondo tipo i requisiti testuali sono tutti obbligatori. Requisiti testuali: - corretto uso dei coesivi - corretto uso dei connettivi - coerenza logica - coerenza semantica - coerenza stilistica.

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L’allestimento della pagina scritta (III)

1. I segni di punteggiatura I segni che indicano una pausa: - pausa forte  punto fermo; - pausa media  punto e virgola e due punti; - pausa debole  virgola. Essi non riflettono di norma le pause del parlato, ma contrassegnano i rapporti sintattici che si stabiliscono tra le varie parti di una frase o di un periodo. Corrispondenza tra parlato e scritto si riscontra invece col punto interrogativo (o punto di domanda) e col punto esclamativo: i due segni marcano rispettivamente una particolare e riconoscibile curva prosodica, discendente-ascendente (A che ora sei arrivato?) e ascendente-discendente (Finalmente sei arrivato!). La punteggiatura ammette possibilità di scelta, indifferente o legata ad abitudini individuali.

2. La virgola È, col punto, il segno più comune. Non va usato all’interno di un blocco unitario: tra soggetto e predicato, tra predicato e complemento oggetto, tra un elemento reggente e il complemento di specificazione, tra aggettivo e sostantivo. N.B. La mancanza di virgola tra soggetto e predicato vale anche in presenza di un soggetto espanso, cioè arricchito di altri elementi (attributi, avverbi, complementi indiretti) che ne dipendono. Tuttavia la virgola può figurare tra soggetto e predicato o tra predicato e oggetto quando uno degli elementi è messo in particolare evidenza o spostato dal suo posto abituale nella frase. Es. Parla bene, lui! La virgola è richiesta: prima di un’apposizione, prima di un vocativo non preceduto da interiezione (Pregate, fratelli), nelle ellissi. Vi sono casi in cui la virgola ricorre, di norma, ma con qualche oscillazione: - Nelle enumerazioni e nelle coordinazioni asindetiche (singoli elementi o proposizioni in sequenza, senza congiunzioni di collegamento); quando l’enunciazione è complessa si ricorre al punto e virgola. Manca invece nelle serie sindetiche, cioè quando i membri sono separati da una congiunzione copulativa o disgiuntiva. Nel caso della copulativa e la virgola manca quando la struttura della frase è la stessa, quindi le proposizioni condividono il soggetto grammaticale e il tema trattato; è ammissibile però quando collega due frasi che lo scrivente avverte distanti grammaticalmente o tematicamente. Nel caso della disgiuntiva o, oppure, ovvero la virgola è più frequente, anche in presenza di frasi con la stessa struttura. - Per delimitare un inciso di qualsiasi tipo. Con questa funzione la virgola concorre con altri due segni, che sottolineano maggiormente l’inciso, ma utilizzabili anche per semplici ragioni di chiarezza: le parentesi tonde e le lineette. Le parentesi sono frequenti all’interno di frasi di una certa estensione, per delimitare con nettezza l’inciso. Le lineette (o trattini lunghi) sono meno frequenti nella prosa letteraria e giornalistica e ricorrono invece senza restrizioni nella saggistica e nella prosa scientifica. - Prima e dopo diverse proposizioni subordinate che condividono in una certa misura le caratteristiche dell’inciso. Nell’italiano contemporaneo la virgola non si usa mai in due casi: tra 6

reggente e completiva, e prima di una relativa limitativa. Le relative limitative (o restrittive) sono quelle che precisano il significato dell’antecedente, che altrimenti sarebbe incompleto. Sono sempre limitative le relative in cui l’antecedente sia rappresentato da un dimostrativo. Una virgola usata male può compromettere persino la coerenza testuale.

3. Il punto e virgola Si usa: - Per segnalare, in una frase coordinata o giustapposta di una certa complessità, una diversa tematizzazione. - Davanti a un connettivo “forte” per rango argomentativo e sintattico, specie conclusivo o esplicativo (dunque, quindi, perciò, infatti, insomma, ossia, ciò nonostante); cioè tutti i casi in cui si introduce la conclusione di un ragionamento, si deducono le logiche conseguenze da certe premesse. Il punto e virgola quindi è una sorta di segnalatore luminoso che richiama l’importanza della frase successiva. Il punto e virgola si usa anche in assenza di connettivi, quando si hanno due frasi giustapposte la seconda delle quali svolge un ragionamento o arricchisca di p...


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