Il figliol prodigo - relazione PDF

Title Il figliol prodigo - relazione
Course Teorie e metodi educativi + Storia culturale dell'educazione
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Il figliol prodigo. Parabola dell’educazione. Alessandra Ferraraccio; Matr. n. 151011

“Il figliol prodigo. Parabola dell’educazione” è un testo scritto da Fulvio De Giorgi, edito nel 2018 dalla casa editrice Morcelliana di Brescia. Il fine del seguente elaborato è quello di offrire al fruitore diverse chiavi di lettura, mediante uno studio analitico, della “parabola del figliol prodigo” (Lc 15, 11-32). È la storia di un figlio, secondogenito, che esige dal padre la sua parte di eredità che dilapiderà in paesi lontani in modo dissoluto. Questo lo porterà al punto di desiderare di ritornare per domandare di vivere da salariato in casa del padre piuttosto che da affamato servo guardiano dei maiali. Il suo ritorno a casa è dunque per il padre una sorta di risurrezione, di passaggio dalla vita alla morte intesa in senso spirituale, degna perciò di festeggiamenti. Il primogenito, uomo onesto, obbediente e dai sani principi, tuttavia non accetta l’amore gratuito del padre nei confronti del fratello, ragion per cui, rimarrà fuori dal banchetto con il cuore di pietra schiacciato dal suo ego e dal suo senso di giustizia. È certamente una delle parabole più note di tutti i tempi, che conserva un’intrigante morale cristiana per cui chi non accetta come fratello un peccatore, non accetta neppure l’amore gratuito del Padre e pertanto non potrà esserne figlio. L’autore, anzitutto, per analizzare la parabola si è avvalso di uno sguardo cristiano-teologico, la cui figura del padre è assimilabile a quella del Padre Celeste che per amore lascia libero il figlio di smarrirsi nel mondo e con lo stesso amore lo accoglie nella sua Casa come creatura nuova. È dunque opportuno chiamarla “parabola del Padre misericordioso”, Padre che attende con impazienza il giorno in cui riabbraccerà teneramente il figlio prima perduto, poi ritrovato: la pecora smarrita, poiché egli è il Dio dei peccatori e dei pentiti. De Giorgi, individua due culmini in questa parabola, come fosse una parabola a due vertici, quali l’abbraccio del padre col figlio minore e il dialogo finale del padre col figlio maggiore. Nel dipinto di Rembrant, de “il ritorno del figliol prodigo” (1668), raffigurante l’abbraccio sopracitato, è possibile osservare sulle spalle del figlio una mano del padre dai tratti maschili ed una dai tratti femminili. Dietro quest’ultima si cela l’amore materno, incondizionato e traboccante, l’amore che solo una madre sa avere: è la mano materna che accoglie la vita. L’altro vertice è rappresentato invece dal dialogo del padre col figlio maggiore che chiuderà la parabola con una tacita sollecitazione di conversione alla misericordia.

De Giorgi, svolge poi una lettura ermeneutica, da cui si evincono approcci pedagogici, psicologici ed educativi: difatti, l’autore riterrà opportuno denominarla “parabola della madre assente”. Ci si domanda se la presenza della madre in questa parabola avrebbe potuto cambiare l’intera storia, se le lacrime della madre avrebbero potuto fermare il figlio minore o se invece l’assenza della madre fosse necessaria ai fini della parabola stessa. In questa chiave di lettura, vediamo come la figura del padre visto come Padre Celeste, tramuta in quella di un padre umano, responsabile dell’educazione dei figli o meglio, diremmo, di un fallimento educativo. L’assenza anche simbolica della madre, delinea un quadro educativo piuttosto squilibrato, in quanto, manca la tripolarità, supplita dalla diade che origina inevitabilmente un rispecchiamento col padre: c’è ordine e regole ma manca l’affetto. L’autore a questo punto del libro presenta tre forme pedagogiche contemporanee identificabili nella parabola: un’educazione autoritaria, libertaria e liberatrice. Il primo paradigma “l’educazione autoritaria” si avvale di un riferimento al Libro del Siracide (Sir 3,37), che vede i genitori come padroni da servire: in questa parabola il padre impone la Legge dell’obbedienza che, non lasciando spazio al confronto, sfocia in un ricatto morale e in un’intimidazione affettiva. Significativa, dunque, l’assenza del dialogo, in quanto il padre tuttavia lascia il figlio libero di andare senza porre resistenza; si può parlare pertanto di un distacco (sia emotivo che fisico), che si rivela un vero e proprio abbandono, per cui il figlio minore diviene “il figlio dell’abbandono”. Nella parabola, questo paradigma ricava indubbiamente reazioni diverse dai due figli, in quanto, il maggiore assume la “maschera del compiacente”, è succube dell’autorità genitoriale e aderisce pertanto al modello paterno; mentre il secondo, ribelle, assume la “maschera del forte e capace” che sarà la sua salvezza psicologica e spirituale. Il terzo paragrafo del terzo capitolo “rieducato dalla vita” allude al cammino interiore che il figlio minore compie lungo la via di ritorno a casa. Egli mediante la sofferenza giunge ad una saggezza adulta che gli consentirà un ri-ordinamento di eventi e sentimenti e dunque una formazione dell’identità. Difatti, le componenti dell’identità possono essere un lungo processo, colmo di negazioni e affermazioni di vari ruoli e facce, di superamento delle identificazioni infantili/adolescenziali che verranno in parte scartate e in parte ricongiunte in una sintesi originale e unica. Egli si allontana da casa pieno di averi e vuoto di sé, ma vi ritorna vuoto di averi e pieno dell’identità di sé. (De Giorgi, p. 111).

Il figliol prodigo sostiene un dialogo interiore che gli permette di scoprire la differenza tra il padre Celeste e il padre terreno: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Nel secondo paradigma, “l’educazione libertaria”, il pensiero del padre, che si vede responsabile della possibile morte del figlio minore, lo ricolma di angoscia e paura. Tale pensiero viene tuttavia allontanato nel momento in cui il figlio ritorna, difatti: appena “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Da questa scena è dunque possibile scorgere un mutamento del comportamento del padre, un passaggio da un’educazione autoritaria ad una libertaria, permissiva; un cambiamento educativo radicale che, seppure ancora privo di dialogo, genera il terzo ed ultimo paradigma dell’educazione liberatrice. Quest’ultimo allude al rapporto del figlio primogenito col padre nell’ultima scena della parabola, in cui c’è un rifiuto da parte del figlio maggiore di entrare a fare festa per il ritorno del fratello e una volontà di inchiodare il padre alle responsabilità educative alle quali egli stesso è sempre stato rigidamente conformato. Egli avverte un senso di abbandono, di tradimento da parte del padre nei suoi confronti che lo porterà a nutrire sentimenti di invidia che si recepiscono nel dialogo quando, rivolgendosi al padre, chiamerà suo fratello “tuo figlio”. Il figlio maggiore è dunque il ritratto di un uomo succube dell’autorità genitoriale, che prescinde il concetto di ribellione e accetta che gli venga sottratta la libertà fino al punto di continuare a desiderare quel modello educativo paterno oramai superato (rovesciamento del rovesciamento). La festa del padre in onore del figlio ritrovato rappresenta il passaggio dalla Legge alla libertà, dalla morte ontologica alla vita, simbolo di riconciliazione e perdono. Si potrebbe dunque concludere, con le parole di De Giorgi, che la parabola cela dietro di sé una metafora educativa: l’educazione è un lungo cammino caratterizzato da processi di cambiamento e di crescita che coinvolge tutti gli attori che ne fanno parte. Alla luce della lettura di questo studio condotto dal professor De Giorgi, sono personalmente grata di aver avuto l’opportunità di scoprire la vastità di sfumature pedagogiche che è in grado di offrire una celebre parabola come quella del figliol prodigo. Ho trovato illuminante il concetto di “conversione del giusto” (figlio maggiore) che è chiamato a convertirsi dal suo senso di giustizia alla misericordia: è intrigante il pensiero di un Dio che ha misericordia oserei dire prima del peccatore e poi del giusto; Dio ama per primo appassionatamente, va a cercare i peccatori e quando si convertono va’ con loro a fare grande festa.

Nelle varie consultazioni di libri e articoli che hanno contribuito alla meditazione di questo libro, ho trovato pertinente il passo del Profeta Isaia (Is 49, 14-15) in merito alla figura del Padre Celeste misericordioso che in questa parabola è sempre in attesa del figlio perduto:

“anche se una mamma si dimenticasse del suo bambino, il Signore non si dimenticherà mai di lui. il Signore è il Padre che non si dimentica mai di nessuno”. Reputo altresì interessante il fatto che la parabola non abbia una fine vera e propria (come tutte le parabole) poiché il messaggio evangelico di Gesù è quello di lasciare al lettore la libertà di entrare o non entrare al banchetto. Dal punto di vista teologico-spirituale, ritengo che la parabola sia indirizzata ad ogni uomo allo scopo di scoprire in sé stessi sia la figura del peccatore consapevole (figlio minore) che quella del fariseo (figlio maggiore). Credo sia doveroso concludere queste riflessioni personali col “commento ai Salmi di Sant’Agostino vescovo”, che ipotizzano quel dialogo interiore spirituale del figlio minore poiché ritengo che all’interno di questa ricostruzione di pensiero vi sia il fulcro del cammino spirituale percorso dal figliol prodigo: “Mi sedetti nella miseria e mi rialzai nel desiderio del tuo pane, penetri da lontano i miei pensieri” (padre che lo vede da lontano). “Ti sono note tutte le mie vie prima ancora di andarvi (riferendosi al Padre Celeste), prima che io vi camminassi, Tu le hai previste e hai permesso che percorressi con dolore le mie vie affinché per non soffrire, tornassi sulle Tue.” “Mi sono allontanato da Te con quello che mi sembrava un bene (eredità) e invece senza di te divenne per me un male, infatti se fossi stato bene senza di te, forse non avrei voluto tornare a te.”

Alessandra Ferraraccio...


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