LE Signorie Cittadine IN Italia di Andrea Zorzi PDF

Title LE Signorie Cittadine IN Italia di Andrea Zorzi
Course STORIA MODERNA
Institution Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
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LE Signorie Cittadine IN Italia di Andrea Zorzi...


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LE SIGNORIE CITTADINE IN ITALIA (SECOLO XIII-XV) di Andrea Zorzi Premessa Il termine signoria indica forme diverse di potere e principalmente quelle che nei secoli centrali si diffusero in moltissime aree della cristianità europea. La specificazione aggettivale “cittadine” si riferisce a regimi, personali e talora dinastici, che si affermarono nelle città italiane centrosettentrionali a cominciare dal secolo XIII. Il fenomeno investì in modo sistematico e peculiare le città che sperimentarono la piena autonomia politica all'interno del regno d'Italia e dello stato pontificio. Forme personali di governo si ebbero anche in città inquadrate in formazioni politiche monarchiche, a cominciare dai regni di Napoli e Sicilia. I cittadini considerarono a lungo tra XIII e XIV secolo le due forme di governo, quella comunale e quella signorile, come risorse alternative alle quali si poteva attingere in funzione delle necessità e delle circostanze. Non vi fu alcun passaggio diretto dal regime comunale a quello signorile. La signoria non rappresentò la fase terminale della crisi del comune. L'affermazione delle prime forme di potere personale e di governo signorile fu infatti contemporanea a quella dei regimi podestarili e di “popolo” nei decenni centrali del Duecento. Dalla metà del Duecento al più tardi non è possibile contrapporre nettamente comune e signoria. A partire da quel momento, in numerose città dell'Italia centro-settentrionale, per motivi vari e in condizioni politiche diverse da caso a caso, i consigli municipali cominciarono a conferire a un singolo cittadino eminente un potere politico discrezionale e assoluto, per un tempo definito o addirittura a vita. In genere era un'apposita riunione dell'assemblea dei cittadini ( la concio) a riconoscere a un signore, spesso appartenente ad un lignaggio aristocratico ma anche titolare di una magistratura del comune ( podestà), un'autorità incondizionata. Al signore così eletto erano assegnati compiti particolari per la difesa militare, la sicurezza e la pacificazione interna della città. O regimi signorili potevano nascere dal cuore stesso delle istituzioni popolari : a Verona con gli Scaligeri, Padova con i da Carrara. In tali contesti i signori svolsero spesso il ruolo di garanti del programma politico popolare a prescindere dalla loro origine sociale. Le esperienze di governo variarono dai casi in cui un comune rimetteva il potere esecutivo a un potente esterno, senza per questo rinunciare totalmente alla propria autonomia ( come fu il caso di Firenze, che a più riprese accettò la signoria dei sovrani angioini); ai casi in cui una città decideva di riconoscere speciali poteri a un cittadino, che fosse un nobile forte di armi e di clientele ( come Ferrara, stirpe degli Este) o un uomo politico (come Cola di Rienzo a Roma); ai casi in cui il potente, che si affermava grazie al consenso di una delle fazioni o dei gruppi sociali in competizione fra loro era, per giunta, il vescovo della città ( come avvenne a Milano con Giovanni Visconti). Notevoli furono anche le esperienze signorili in città che mantennero più a lungo caratteristiche repubblicane come Bologna, Firenze, Pisa, Genova. Il regime comunale appariva fondarsi sulla partecipazione dei cittadini, sul principio elettivo, sull'alternanza dei governanti e sulla discussione pubblica; quello signorile sulla discrezionalità di uno solo, in genere designato a vita. Non a caso, quando il governo del signore cominciò a mutare, a non essere più espressione condivisa della comunità cittadina, bensì un dominio autoritario che non perseguiva più il bene comune, cominciarono a svilupparsi nel lessico politico corrente, i termini “tiranno” e “tirannide”. A prevalere era allora il concetto di preminenza sociale. E non va dimenticato che nei comuni le stesse forme di governo “largo” furono comunque limitate ai cives, cioè a color che pagavano le tasse e che risiedevano da generazioni nelle città, ma non a tutti i loro abitanti. La partecipazione politica che i regimi comunali offrirono ai propri cittadini riguardò una minoranza: ne rimasero esclusi, oltre alle donne, anche i lavoratori manuali, gli immigrati, i servi ecc.. La parola alle fonti 1. Le prime forme di potere signorile Le prime forme di potere signorile cominciarono ad affermarsi nel secondo quarto del secolo XIII. Diedero luogo infatti a una pluralità di esiti: affermazione di capiparte ma anche di ufficiali pubblici; informalità del potere esercitato o, al contrario, sua definizione

istituzionale; dominio su una città, su una costellazione di centri urbani ma anche esercizio di poteri signorili su una città inserita in un dominio pluricittadino; labilità di molte di queste esperienze. Gli individui che esercitarono poteri di tipo signorile in alcune città appartenevano a famiglie aristocratiche. Le prime forme di dominio signorile cittadino si manifestarono a partire dagli anni venti del Duecento con la crisi del sistema podestarile nell'età di Federico II. Crisi che cominciò a manifestarsi in seguito alle diete convocate dal sovrano per mettere pace tra i comuni, che indussero le città dell'Italia settentrionale antimperiali a rinnovare la lega lombarda e. per reazione, Federico II a revocare i privilegi concessi a Costanza nel 1183 da Federico Barbarossa. La contesa tra l'impero e i comuni, coni quali il papato cominciò a fare fronte comune, si riverberò nelle città rendendo progressivamente ingestibili le lotte che da sempre opponevano le fazioni dell'aristocrazia militare. Venne irrigidendosi via via l'elasticità del sistema politico che il regime podestarile aveva inizialmente reso possibile consentendo l'affermazione sul piano politico di nuove famiglie e nuovi gruppi sociali. Quando nella competizione locale cominciò a pesare la fedeltà allo schieramento imperiale, i podestà di professione videro indebolirsi la loro capacità di mediare tra le parti e di stabilizzare lo spazio cittadino. L'equilibrio si spezzò definitivamente quando i rettori cominciarono a operare sistematicamente in favore di una parte:non solo i podestà di nomina imperiale, ma anche quelli aderenti al fronte pontificio. I conflitti tra pars imperii e pars ecclesiae si inasprirono e si conclusero con l'allontanamento della parte soccombente dalla città. Fu dunque nel contesto della crisi del regime podestarile che in alcune città padane cominciarono ad affermarsi, attraverso percorsi diversi, le prime dominazioni signorili. ● La prevalenza su Ferrara di Salinguerra Torelli A Ferrara – una città il cui gruppo dirigente possedeva un profilo marcatamente agrario, e dove il popolo non ebbe mai un rilievo significativo- l'evoluzione in senso podestarile del regime comunale si limitò al reclutamento locale dei rettori, oggetto di lunghe contese tra le due fazioni aristocratiche: quella egemonizzata dai Torelli e quella guidata dagli Adelarsi e poi ( dagli anni novanta del secolo XII) dagli Estensi. La carica podestarile fu assegnata spesso per due o tre anni consecutivi allo stesso individuo, favorendo l'emergere di un predominio personale che portò all'esclusione delle cariche della parte sconfitta. Dal 1222 al 1240 a controllare il regime fu il capoparte Salinguerra Torelli. Egli controllò lo spazio politico ferrarese senza che al suo potere fosse conferito un riconoscimento formale da parte dei consigli del comune. Egli agiva come signore di fatto sia all'interno della città sia nelle relazioni esterne. Una fonte del 1221 racconta che Salinguerra costruì per propria sicurezza un castello. Era allora podestà di Mantova e gli avversari pensando fosse il momento giusto per espellere l'altra parte, prendono le armi e costringono la fazione avversa a rifugiarsi nel castello si Salinguerra, dopo averla gravemente offesa per tutta la città. Egli guadagna la propria abitazione fortificata e raccolte le forze. Costringe gli avversari a lasciare la città. In seguito per tre anni infuriò la guerra civile e infine stanchi dei continui scontri, i cittadini posero fine alla lotta a condizioni eque. Al tempo della pace fiorì Ferrara e i cittadini godevano in abbondanza delle sue possibilità di ricchezze della tranquillità. Ogni via proveniente dalle città circostanti e dal mare era aperta. Ogni anno si tenevano le fiere sul prato del comune alle quali venivano mercanti carichi di vari prodotti. Benchè la parte avversa potesse contare tra le sue fila un numero maggiore di nobili, egli era tuttavia ben più forte dei suoi avversari perché la massima parte dei plebei e qualche alto nobile potente erano dalla parte di Salinguerra. ● Il dominio dei da Romano sulla Marca trevigiana Le esperienze di maggiore rilievo in questa prima fase di sperimentazione di poteri personali presero corpo intorno a personaggi carismatici partigiani di Federico II. Due grandi signori territoriali, Ezzelino III da Romano e Oberto Pelavicino, si resero protagonisti di imponenti

tentativi di insignorimento su più città. I da Romano erano un'antica stirpe signorile di origine franca dotata di un vasto patrimonio. Nel 1223 i fratelli Ezzelino III e Alberico si divisero i beni e i diritti del padre Ezzelino II e le sue vaste clientele vassallatiche. La spartizione era anche politica: Alberico puntò a fare di Treviso la sua base d'azione, Ezzelino concentrò le sue mire su Verona, dove non aveva possessi ma che cominciò a porre sotto il proprio controllo dal 1225 e divenendone podestà nel 1226. Ponendosi dapprima in rapporto con la lega lombarda, nel 1232 Ezzelino strinse un accordo con Federico II, che lo accreditò quale capitano e consigliere della parte dell'impero nella Marca. Federico gli concesse anche in moglie la figlia Selvaggia. Valendosi dell'appoggio imperiale e dei collegamenti con le partes interne alla città, entro il 1237 Ezzelino estese la sua diretta influenza su Verona, Vicenza, Padova, Trento. Le città conservarono i propri ordinamenti comunali e il da Romano vi agì come capoparte, senza assumere cariche di persona. Le organizzazioni di popolo lo appoggiarono per la pace che egli seppe garantire dopo decenni di scontri tra frazioni nobiliari. Il potere signorile esercitato da Ezzelino non fu mai formalizzato, né dal conferimento di poteri straordinari da parte dei consigli comunali, né dall'assunzione di un ufficio preciso nell'amministrazione imperiale. Egli dominò per un quarto di secolo. In una fonte si apprende che i Padovani inviarono proposte di pace, dicendosi pronti a obbedire all'imperatore e ai suoi messi e specialmente ai da Romano. Ezzelino non volle assumere il governo ma lo fece assegnare al messo imperiale. I da Romano e il messo imperiale avevano assoggettato Padova. I Trevigiani inviarono molti messi ai da Romano essendo anch'essi disposti a obbedire ai loro ordini in ossequio all'imperatore. Ora i da Romano avevano riconquistato Verona, Treviso, Padova e Vicenza e così avevano il dominio di tutta la Marca. Quando Federico II prese Vicenza con la forza e costrinse Padova ad aprirgli le porte, nelle città della Marca gli avversari dell'impero e di Ezzelino cominciarono a essere proscritti o imprigionati e i loro beni confiscati. Dagli anni quaranta Ezzelino instaurò un vero e proprio regime personale, sostituendo rettori a lui devoti ai podestà della città. Fu solo dopo la morte di Federico II che Ezzelino cominciò a praticare una sistematica epurazione dei suoi oppositori. La repressione diventa spietata e si macchiò di violenze e atrocità. Nel 1252 a Padova furono moltiplicate le iniquità e furono escogitati nuovi generi di torture. In quell'anno alcuni nobiluomini furono condotti nel palazzo e furono condannati a morte crudelmente decapitati in piazza. In quei giorni si perpetrò un altro delitto contro dei bambini, accecati e mutilati dei genitali. Anche Alberico da Romano dispose delle atrocità come impiccagioni ecc.. La pesante fiscalità che implicava una politica fondata sulla forza alienò a Ezzelino il sostegno dei popolani: nel 1252 l'appropriazione personale di beni confiscati suscitò una diffusa indignazione. Alla crociata che il papa indisse contro di lui nel 1254 fece seguito la perdita di Padova nel 1256. Il dominio personale mostrò allora tutta la sua fragilità, per il mancato radicamento in una città che potesse fungere da perno. Ezzelino fu sollecitato a conquistare Milano dalla nobiltà locale fuoriuscita ma, fatto prigioniero nel 1259, morì poco dopo. Sprovvista di sostegni locali e aggredita da una potente coalizione la sua potenza crollò senza che alcuno potesse raccoglierne l'eredità. Nemmeno il fratello Alberico ebbe infatti sorte migliore. La crociata guelfa, che aveva reagito alla politica brutale di Ezzelino, mise al bando anche lui insieme con il fratello: Alberico finì linciato insieme ai familiari. ● La signoria sovracittadina di Oberto Pelavicino A guardare l'esercito che sconfisse Ezzelino da Romano era stato un esperto comandante militare, Oberto Pelavicino (o Pallavicino). Costruì una signoria, facendo perno su Cremona e sul controllo degli snodi della navigazione sul Po, che era arrivata a controllare una nebulosa di città lombarde. Oberto era un grande proprietario di terre tra Parma e Piacenza, tra l'Appennino ligure e il Po. Sin dal terzo decenni del secolo XIII Oberto si schierò con Federico II. Nel 1234 fu anche chiamato alla testa del popolo di Piacenza dal quale peraltro fu cacciato due anni dopo. Fu nominato vicario imperiale e alla morte del sovrano fu capace

di proporsi come coordinatore delle partes imperiali lombarde. Nel 1251 Corrado IV lo nominò capitano generale e vicario dell'impero per i territori inferiori e superiori al corso del Lambro in Lombardia. La lunga militanza nello schieramento imperiale, gli incarichi pubblici favorirono il riconoscimento esplicito della signoria di Oberto su alcune città padane. A Cremona nel 1249 egli fu dichiarato signore e podestà fino al 1266, facendo della città il perno della sua azione. Divenne dominus di Piacenza e podestà a vita di Pavia: la crociata antimperiale lanciata nel 1257 lo mise però in difficoltà e fu cacciato dalle due città. Ma, passato a sostenere, nella lotta per il regno di Sicilia, il figlio illegittimo di Federico, Manfredi, Oberto riuscì a volgere l'offensiva guelfa a proprio vantaggio: fu nominato capitano generale del popolo di Milano per guidare lo scontro contro Ezzelino da Romano. All'inizio degli anni sessanta Pelavicino era dunque a capo di un'ampia signoria sovracittadina nella piana del Po che si estendeva anche su Breascia, Piacenza, Parma, Novara e Bergamo, dove pur senza assumere incarichi diretti ebbe ampia influenza attraverso uomini di fiducia. La sua fragilità appare evidente quando si avviò la riconquista guelfa guidata da Carlo d'Angiò. Nel 1264 Oberto perse il controllo di Milano e di Brescia. Per il partito ghibellino svanì definitivamente la speranza di una restaurazione imperiale e la signoria del Pelavicino si sfaldò rapidamente: Oberto morì nel 1269 ● Una signoria “incapsulata”: Buoso da Dovara a Cremona In alcune città Oberto riconobbe l'esistenza di un'influenza signorile locale. A Cremona, che aveva mantenuto intatte le istituzioni del comune, agì per molti anni come suo luogotenente Buoso da Dovara. Nei primi anni cinquanta Buoso seppe avvicinarsi alle organizzazioni popolari di Cremona da cui fu eletto capitano del popolo e capitano dei mercanti. Il Pelavicino lo nominò podestà e signore perpetuo dell'università dei mercanti. Oberto appare come signore e podestà di Cremona accanto al “signore” Buoso da Dovara e al “comune di Cremona”, tre soggetti politici di cui due signorili oltre al comune. Il sopravvento dei guelfi dopo la battaglia di Benevento nel 1266 indusse da Dovara a un repentino quanto infruttuoso cambio di fronte: abbandonato il Pelavicino, Buoso fu a sua volta cacciato l'anno successivo dal ritorno di Crremona allo schieramento guelfo. ● L'effimero dominio di Manfredi II Lancia Una più limitata ed effimera esperienza signorile a quella del Pelavicino fu tentata anche dal marchese Manfredi II Lancia, chiamato come podestà e capitano di guerra a Milano per tre anni nel 1253 con il compito di rimettervi ordine e di riportare la pace tra le parti e presto insignoritosi anche di Novara e Alessandria. Alla sua morte nel 1257, però, il dominio sovracittadino si dissolse. 2. Signori, “popolo” e partes L'affermazione di poteri signorili più stabili e formalizzati si attuò nei decenni dell'influenza angioina. Subentrò un'intensa sperimentazione di nuovi assetti di potere. Lo spazio politico fu condiviso da più soggetti: non solo le parti, ma anche le organizzazioni di popolo e i signori: le prime puntarono a egemonizzare la magistratura podestarile; le seconde a dare una direzione politica unitaria alle società territoriali e alle corporazioni di mestiere; i terzi a proporsi come capiparte e alla guida delle istituzioni di popolo. Si inserì in molte città il “popolo”, anche per effetto di un'impetuosa crescita demografica ed economica che toccò il suo apice proprio nel terzo quarto del secolo XIII. Organizzandosi spesso in un'unica societas ( con un proprio rettore, un collegio degli anziani e un consiglio largo) il popolo puntò a partecipare al governo del comune, allargandone la base sociale. In alcune città (perlopiù dell'Italia centrale) arrivò a controllare il governo; nella maggior parte dei casi partecipò al potere senza poterlo guidare; in altre città la sue evoluzione non riuscì a configurarsi sul piano istituzionale. Le partes in cui era divisa l'aristocrazia urbana era composta non solo da milites ma anche da iudices, mercanti e banchieri e continuarono in

quei decenni a disputarsi il controllo del governo cittadino. Regimi compositi di parte e di popolo, non senza sperimentazioni di carattere signorile, si affermarono nelle principali città dell'Italia centrale ( a Pisa e a Siena con prevalenza ghibellina, a Firenze guelfa) e in qualcheduna padana ( Bologna, Padova). In molte delle città settentrionali si affermarono invece regimi signorili, attraverso il predominio di una parte ma aspesso anche con l'appoggio del popolo. Si coglie nelle esperienze degli anni cinquanta e sessanta un maggior grado di formalizzazione dei poteri. Era il principio stesso del comune podestarile ad accreditare l'idea che la città potesse concedere, temporaneamente il potere esecutivo a un soggetto esterno. Essi costituivano delle sperimentazioni di nuove possibilità di governo, di nuovi e più coerenti assetti politici: ma non ancora delle stabili alternative di potere. ● L'alleanza tra i della Torre e il popolo di Milano La presenza di nobili alla testa delle organizzazioni del popolo fu il frutto di alleanze tra spregiudicati esponenti dell'aristocrazia militare e componenti della popolazione urbana carenti di tradizione politica. A Milano la leadership del popolo fu assunta sin dagli anni quaranta da una delle maggiori famiglie aristocratiche, quella dei della Torre. Nel 1247 Martino divenne anziano della Credenza di Sant'Ambrogio, la società che riuniva gli artigiani, e avviò un'azione per favorire l'accesso di membri del popolo al capitolo della cattedrale monopolizzato dalle grandi casate aristocratiche. La reazione della nobiltà portò a conflitti ripetuti, che consegnarono la città alla signoria di Manfredi Lancia dal 1253. Alla sua morte Martino, rieletto anziano delle Credenza, guidò nuovamente il popolo a una sollevazione che scacciò il vescovo e molti aristocratici. Sulla scia di questi successi, Martino e la Credenza affermarono la propria egemonia anche sull'altra associazione popolare, la Motta ( che riuniva famiglie di mercanti). La minaccia militare portata da Ezzelino nel 1259 lo costrinse ad affidare a Oberto Pelavicino l'ufficio di capitano generale di Milano per cinque anni, condividendo con lui il governo del comune. La sconfitta inflitta al da Romano che consegnò a Martino il ruolo di alfiere del guelfismo nell'Italia padana e che fu determinante per la definitiva affermazione dei della Torre. I successori di Martino nella carica di anziano del popolo di Milano, il fratello Filippo e il cugino Napoleone, si schierarono risolutamente con la potenza emergente di Carlo d'Angiò, stringendo nel 1265 una lega che li propose quali referenti della coordinazione guelfa nell'Italia padana. L'autorità della famiglia della Torre, che era stata esercitata a lungo in maniera informale in ...


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