Letteratura italiana: L\'800 (dagli Scapigliati a Verga) PDF

Title Letteratura italiana: L\'800 (dagli Scapigliati a Verga)
Course Temi e forme della letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Palermo
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Appunti lezioni della materia Temi e forme della letteratura italiana - Prof. Di Giovanna...


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LA NOVELLA DELL’800 La novellistica barocca è l’ultimo momento di una grande stagione letteraria. Il 700, infatti, è un momento di torpore della novella, è un genere non considerato tra quelli più proficui e interessa meno in questo secolo. Il Barocco concedeva all’intrattenimento, all’evasione; adesso invece vi è un nuovo ruolo dello scrittore: nel 700 la letteratura è più impegnata, ha una funzione di contribuire alla lotta all’oscurantismo e una ricostruzione della società secondo ragione. Nelle Accademie si guarda soprattutto a opere che si prestano a un compito di pubblica utilità, dal taglio divulgativo. Per questi motivi, nel secolo illuministico si guarda più a generi come il romanzo (anche se non in Italia), le dissertazioni scientifiche, i pamphlets, la prosa giornalistica, che sembrano servire a un dibattito culturale. La rifondazione del genere della novella si ha nell’800. Bisogna dire, però, che viene meno il confronto con gli autori dei secoli precedenti poiché si guarda a modelli stranieri. Comincia anche a comparire il termine “racconto”, che poi sarà in voga nel 900. Tra novella del primo 800 e secondo 800, però, vi è notevole scarto. Nel primo 800 prende piede la novella in versi dal carattere elegiaco sentimentale (storia individuale di un anima tormentata, soggettività offerta dalla parola dei protagonisti, con carattere a volte tragico e attenzione all’interiorità), scritta prima in ottave poi in endecasillabo. Dal 30, questa viene soppiantata gradualmente dalla novella in prosa. Il contesto che favorisce la novella è dato da esigenze di mercato. Un fattore che contribuì alla diffusione del genere fu lo sviluppo della stampa periodica. Vi era, infatti, l’usanza di mettere nei giornali parti dei romanzi di appendice e si notò che questi aumentavano le vendite dei periodici. A differenza del barocco che predilige la novella amorosa, da metà 800 si ha un ventaglio ampio di novelle. Inizialmente, sulla scia del gusto romantico, continuano a essere presenti le tematiche sentimentali ma poi quella parte di realismo, che pure era contenuta nel romanticismo, dà impulso a un sottogenere indicato come racconto filantropico-sociale: spaccato sociale che fa emergere le condizioni disagiate dei contadini e le sopraffazioni da parte di esponenti di ceti più alti. ‘Filantropico’ perché si propone il compito non solo di impietosire ma di contribuire al riscatto di queste plebi contadine, operazione proveniente da ambienti della politica conservatrice (che tuttavia si poneva il problema di attenuare le sofferenze del popolo per evitare rivoluzioni). Questo sottogenere di novella attraversa vari versanti, dal tardo Romanticismo alla Scapigliatura. La produzione romantica vede nei contadini i depositari di ideali di virtù, autenticità, che nelle città si sono persi. Quindi contrapposizione tra città e campagne. Dall’altra parte del ventaglio emergono temi inquieti e macabri tramite la proposta di un racconto che sembra aperto al perturbante e spesso prende la forma dell’inquietante rivelazione del sovrannaturale che sconvolge la quotidianità (presenza di un ‘oltre’ che entra nel reale). Questo filone del racconto fantastico è molto diffuso nell’ambiente scapigliato. Inoltre, un altro versante della Scapigliatura è quello dove troviamo rappresentazioni umoristiche o grottesche della realtà, dando un senso di insofferenza del reale. Questi atteggiamenti danno vita anche a grande sperimentazione linguistica e vi possiamo inserire anche racconti di difficile definizione, come il racconto paradossale.

SCAPIGLIATURA La Scapigliatura è una stagione breve: un quindicennio che va dall’indomani dell’Unità d’Italia assottigliandosi con il comparire del Verismo. Anche quest’epoca è un momento di crisi.

Vi è insoddisfazione e delusione per la situazione italiana, in quanto il Risorgimento ha deluso nei suoi esiti. Le speranze politico-sociali sperate non si sono realizzate e l’Italia era corrotta, pervasa dal mito del denaro, dall’individualismo. Lo stesso nome di ‘scapigliati’, infatti, suggerisce una ribellione contro il sistema e deriva dal romanzo “La Scapigliatura” di Cletto Arrighi, che nel prologo ci presenta un disagio che tocca dei giovani irrequieti e travagliati; è una generazione in crisi, turbata, che vive in un contesto sociale nuovo, quello delle città. Il movimento, infatti, si sviluppa a Milano. La delusione politica è accompagnata anche al deperimento della funzione intellettuale, alla caduta della sacralità dell’arte. La società viene avvertita come una società che mercifica l’arte e vede lo scrittore come condizionato da questi ingranaggi, che lo costringono ad obbedire al pubblico altrimenti rischia di finire ai margini della società. Lo scrittore non ha più un mandato alto, deve solo servire il mercato. Si assiste, quindi, a una crisi che investe anche il ruolo dello scrittore. ▪ CARDUCCI, in un componimento composto per un caduto del Risorgimento, paragona Roma a Bisanzio (luogo della corruzione). ▪ BAUDELAIRE in un suo poemetto in prosa parla della perdita dell’aureola (perdita dell’eccezionalità dello scrittore), apologo dove lo scrittore si ritrova in un bordello, luogo di degradazione, a parlare con un amico, il quale gli chiede come mai si trovi lì e Baudelaire racconta della perdita dell’aureola che gli è scivolata mentre attraversa una via della città. Adesso è divenuto come tutti gli altri, non più figura eccezionale. Al declassamento dell’artista e dell’arte corrisponde una riflessione sul fatto che comunque non si può andare contro i tempi: l’arte di quel momento deve essere per forza segnata da queste macchie della generazione. Questo disagio, questa immagine di un’interiorità in crisi e di antagonismo con i lettori (esponenti di una società che non riconosce lo scrittore) lo troviamo anche negli Scapigliati. ▪ PRAGA nel suo “ Preludio” dice che la società è stata guastata dai padri incapaci di creare una società sana per i figli. È una società dove non ci sono valori autentici a fare da guida, non ci sono certezze offerte dalla religione, “le muse non hanno più niente da dire”, vi è un vuoto che diventa noia. Gli stessi scrittori si vedono come degli anticristi e cantano il vero, non il vero che ha a che fare col vero scientifico del positivismo ma un vero che è pur sempre specchio della società degradata. ▪ ARRIGO BOITO (scrittore, poeta e musicista) scrive “ Dualismo”. Il dualismo rappresenta la contraddittorietà del suo animo, che si indirizza a inattuali ideali, oggetti perturbanti, provocatori; lo stesso autore è un groviglio di bene e male. Gli scrittori si dibattono coscientemente in queste ambivalenze, tipiche di chi ha perduto l’aureola. I disagi degli autori si vedono nelle stesse biografie: suicidi, morti in miseria, dedizione all’alcool. Non così però Arrigo Boito, anche se pure lui fu sempre segnato dall’inquietudine. ▪ TARCHETTI è un alto autore che scrive racconti che ci riportano all’inquietudine degli Scapigliati. La sua opera “Racconti fantastici” verrà pubblicata nell’ultimo anno di vita dello scrittore e, contenendo tutti gli ingredienti costitutivi del racconto fantastico, ha permesso agli studiosi come Todorov di fissare le caratteristiche del genere: un racconto in cui vi è evento inesplicabile che lascia aperte due possibilità di interpretazione. Il fatto o costituisce un fatto inquietante o è un fatto anomalo ma che ha una spiegazione e quindi non ci turba più. Il racconto fantastico cerca proprio di alimentare questa ambiguità e creare inquietudine anche nel lettore.

Boito – L’alfiere nero Novella costruita su un dualismo che, a livello superficiale, è rivelato dal contrasto cromatico tra bianco e nero, ma in realtà corrisponde al contrasto tra due uomini di due ‘razze’ diverse. Uomini che sono contrapposti in una partita a scacchi che sembra una battaglia all’ultimo sangue tra una razza che opprime (colonialismo) e una razza schiavizzata; entrambe, però, variamente portatrici di violenza. Nello stesso tempo, sembra esserci un confronto tra due personalità con qualità opposte, che sembrano corrispondere in apparenza ai tradizionali stereotipi: il bianco segnato dalla razionalità (il suo gioco procede infatti con razionalità) e il nero segnato dall’irrazionalità di una razza selvaggia. In realtà, però, tutto è mescolato dualisticamente in questo testo, quindi queste qualità sono contenute entrambe nelle menti dei due personaggi (il dualismo è proprio nella psiche di entrambi i personaggi). Nel testo, infatti, ci sono continui sconvolgimenti. Il nero, che sembra un uomo buono, poi è preso dalla furia nel gioco, forse evocazione di violenze subite in passato. I due giocatori vengono presentati secondo il supporto della cultura antropologica del tempo (positivismo): vi sono delle gibbosità del cranio diverse tra il personaggio bianco e il nero, che secondo la voce narrante sono indizio delle loro personalità. Dalla forma del cranio l’uomo bianco ha una tendenza al calcolo, alla razionalità. Il nero ha delle gibbosità più accentuate, ma non quelle della razionalità bensì quelle dell’astuzia, dell’istintività. L’uomo bianco racconta perché lui ritiene che la contrapposizione tra razze non potrà finire mai. Dice di essere stato in passato un sostenitore della libertà dei neri, tanto da armarli a una ribellione. Nell’addestramento notò che i neri non colpivano mai il bersaglio. Cambiando il bersaglio con una faccia bianca tutti sparano nel modo giusto. Qui nasce la visione dell’odio tra le due razze. Combattendo per la libertà dei neri, l’uomo si rese conto che essi sono ottusi, delle bestie. In questo ambiente mondano i due personaggi si incontrano e l’uomo bianco, Anderssen, invita il nero alla partita di scacchi, che si presenta come una partita impari poiché Anderssen è un grande giocatore. Nel buttare i pezzi degli scacchi sul tavolo se ne rompe uno, l’alfiere nero, riparato dall’uomo bianco attraverso della cera lacca rossa. Inizia così la partita, che occupa buona parte del racconto, assumendo la forma di un battaglia combattuta con furia dal nero e apparentemente in modo più pacato dal bianco. Incredibilmente il nero vince. Anderssen, che non si aspettava di perdere, con la pistola lo ferisce mortalmente ma l’antagonista morente gli dice “Gal-Rook è salvo. Dio protegge i neri ”. Gal-Rook era suo fratello, un nero che si era messo a capo di una rivolta con una banda di 600 uomini e per questo era ricercato dai soldati della regina. I due profili psicologici si sono ribaltati. Dopo questo evento Anderssen va incontro a un processo di autodistruzione, è come divorato dal rimorso. Continua a giocare in futuro ma perde sempre, dilapidando tutte le sue ricchezze guadagnate col gioco. Sembra essersi trasformato in quel personaggio folle, emarginato, l’ultimo della società, come se avesse preso il posto della vittima sul piano della gerarchia sociale. Adesso la sua è una mente esaltata, dominata dalla follia.

Tarchetti - Un osso di morto L’attacco del racconto già ci mette in questa situazione di esitazione, anticipando che siamo di fronte ad un fatto difficilmente spiegabile. Il narratore è un narratore protagonista e questo elemento di soggettività toglie autorità al racconto. Il narratore racconta di aver conosciuto a Pavia un professore di patologia clinica e anatomia, il quale per amicizia l’aveva invitato a partecipare a una sua lezione, poiché poteva essere utile per chi (come il narratore) si occupa di disegno. All’inizio aveva una qualche ritrosia anche se poi acconsentì ad andare. Tra i due vi era amicizia ma ideologie diverse: il professore supportava tesi

materialistiche, l’altro aveva un qualche dubbio sulla sopravvivenza dopo la morte. Il professore poi muore, ma prima dà alcune ossa all’uomo, il quale le conserva per molti anni fino a quando, un giorno, decide di seppellirle, fatta eccezione per la rotella del ginocchio che conserva per usarla come fermacarte. Il narratore poi frequenta uno spiritista, e dice di aver concepito il desiderio di voler evocare lo spirito dell’amico morto. L’evocazione avviene in modo particolare: voleva vedere se scrivendo il morto evocato si mettesse in comunicazione con lui e infatti la sua mano scrive come mossa da una forza estranea (manifestazione dello spirito). Lo spirito del professore dice di essere tormentato da un altro spirito, quello di un ex inserviente dell’università da lui sezionato e avverte il narratore che quello spirito stesso sarebbe venuto a riprendersi la sua rotella > precipizio della novella verso momento di terrore. Una notte, infatti, la rotella comincia a muoversi e la tenda della stanza si solleva facendo comparire il fantasma dell’ex inserviente, Pietro Mariani, che si riprende il suo osso. Tarchetti costruisce questa situazione per incrementare il terrore ma anche per dare vita a una vena umoristica, come se il narratore volesse attenuare l’angoscia. A un certo punto si sente un rumore in casa e il narratore dice di essersi svegliato. Sembra essere stato tutto un sogno, ma l’uomo vide poi che la rotula sulla scrivania era effettivamente sparita.

Tarchetti - Lettera U Storia grottesca con una coloritura comica che forse protegge l’autore dall’identificazione col suo personaggio. Racconto che testimonia come questi scrittori siano attratti dalle nevrosi e dalla follia in questo caso: folle è il protagonista narratore e la novella è la sorta di un memoriale di un pazzo che racconta di un’angoscia che si scatena nel suo animo. Il lettore si accorge subito che si tratta della prospettiva di un pazzo, senza bisogno di arrivare alla fine (dove troviamo una semi cornice). Il narratore, infatti, manifesta subito quel terrore che si scatena a causa di un grafema, la U, sembrando quasi paralizzato. Il grafema sembra un’entità mostruosa. Questa angoscia è espressa attraverso un lessico che afferisce proprio al campo semantico del terrore. Il soggetto, inoltre, manifesta in tutta la sua solitaria diversità: si rivolge ai lettori con continue apostrofi; vorrebbe l’approvazione dei lettori ma ciò assevera di fatto che gli altri non lo ascoltano, configurandolo come un profeta inascoltato. Il momento in cui il tocco comico è sfiorato, avviene quando racconta delle sue sfortunate vicende amorose. Il primo amore è per Ulrica, una fanciulla bella e buona ed è un amore grande ma il suo nome iniziava con quella vocale maledetta, quindi dovette trovare la forza per abbandonarla. Tentò di guarire con un altro affetto, il secondo amore, ma seppe che si chiamava Giulia e si divise anche da quella sempre per via del fatto che nel nome vi era la U. Il terzo amore sembrava più felice poiché la donna si chiamava Annetta, senonché poi si scopre che quello era un vezzeggiativo di Susanna e che la donna aveva altri 5 nomi tutti contenenti la U. Nonostante l’uomo avesse già pianificato di sposarla la lascia. Ritorna, infine, al primo gande amore Ulrica. Tuttavia, lui non sopportava che avesse nel nome la lettera U maledetta, e cerca di convincerla a rinunciare al suo nome. Lei non vuole e lui arrivò a picchiarla, venendo poi chiuso in un ospizio di pazzi. Intersezione tra varie tipologie di racconto: suggestione dei racconti fantastici (perché parla della U come se fosse un fantasma), anche se prevalentemente la potremmo inserire nel racconto paradossale con tratti umoristici.

◼ Giovanni Verga L’esordio del Verga novelliere è nel 73 con la novella “X” che talvolta non si trova nei manuali scolastici. L’opera del 73, però, non è la sua prima opera, in quanto Verga nasce come romanziere.

Arriva alla scrittura perché gli viene chiesto e per mantenersi. Il volto del romanziere è diverso da quello che sarà il suo volto dal 78 in poi, cioè la fase veristica, in cui l’autore mostra grande capacità di sperimentazione. Proporrà, infatti, tecniche narrative nuove adeguate ad espellere il punto di vista dell’autore. Il narratore deve essere anonimo e popolare: la novità sta nel far presentare i fatti non da una voce narrante, che esprime i fatti in modo autoriale, ma da una voce autonoma interna a quel mondo. Prima di questa fase culminante, in Verga vi è un’evoluzione continua. La prima fase, che è quella catanese, vede tre romanzi storici, genere ormai un po' usurato. Il primo è “Amore e Patria”, poi “I carbonari della Montagna” (1681) e infine “Sulle Lagune” (1683). All’inizio Verga è uno scrittore romantico, è uno scrittore impegnato che ritiene di dover propagare la sua fede e i valori del Risorgimento, valorizzando l’amore come valore assoluto. Ciò che contribuisce alla sua maturazione è il trasferimento a Firenze e poi a Milano. Questo contatto con un’atmosfera culturale diversa è essenziale. Già con “Una Peccatrice” (1866), il Verga ci dà un romanzo che testimonia una sua crisi interiore. Il mondo ideale/mito romantico fallisce, e fallisce nel personaggio principale, figura autobiografica, il quale non riesce a mantenere fino all’ultimo il suo amore stancandosi di Narcisa. Anche l’ideale dell’arte comincia a intorbidarsi. Anche “Storia di una capinera”, romanzo epistolare che lo consacra al successo, ci dà l’immagine di una società governata dal denaro in cui l’unico personaggio autentico finisce per essere schiacciato. Il romanzo fondamentale che ci fa vedere una frattura rispetto alla realtà circostante è “ Eva”, scritto a Firenze e completato a Milano, in cui nella prefazione ritroviamo tutti quegli elementi di disagio, coscienza della perdita di ruolo dell’intellettuale, l’insignificanza dell’arte destinata al consumo di un pubblico volgare… già visti nel “Preludio” di Praga. Prefazione importante poiché si vede chiaramente la polemica antiborghese, si vedono gli effetti dell’impatto col mondo della modernità e i contatti con gli Scapigliati. Lo scrittore mostra il suo punto di vista indignato e il suo attacco verso il pubblico dai gusti mediocri e i borghesi perbenisti. Le corrispondenze col “Preludio” di Praga sono impressionanti. Praga diceva che la società brama solo il denaro mentre Verga dice che l’utile è al primo posto. Praga dice “O nemico lettor” e anche qui vi è una continua polemica verso il lettore. In questo proposito di offrire il vero, Praga diceva di non voler edulcorare la realtà e l’immoralità diffusa. Queste somiglianze sono dovute anche al contatto di Verga con gli Scapigliati come i fratelli Boito. A livello semantico profondo, sul piano del linguaggio si creano dei rimandi che fanno vedere come questo testo abbia un sottotesto profondo, e in realtà i nuclei inventivi del testo sono più collegati di quanto non appaia. Contesto storico-letterario Se vogliamo periodizzare, intorno al 50-60 si assiste a una fase di reazione antiromantica, in cui ricordiamo autori come Champfleury e Murger, che influenzarono la nozione di ‘vero’ della Scapigliatura. Punta del realismo del decennio, però, è Madame Bovary (1857) di Flaubert, scrittore con senso del reale molto forte, che reagisce al lirismo, all’effusione romantica, con bisogno di oggettivazione dei dati. È il primo a parlare di ‘impersonalità’: l’artista deve essere come Dio nella sua creazione, sicché ovunque lo si senta ma non lo si veda mai. Inoltre, per Flaubert, bisognava dare all’arte la precisione delle scienze fisiche e ritemeva che la difficoltà massima era lo stile, quel bello indefinibile che è lo ‘splendore del vero’. Come Verga parla di impersonalità e armonia, Flaubert parla di impersonalità e splendore del vero. Nei due autori c’è, dunque, un interesse per la qualità stilistica.

Una seconda fase è il decennio dal 60 al 70, in cui vediamo i fratelli De Goncourt, che però non si concentrano tanto sull’aspetto formale, quanto sul documento, sul carattere scientifico. Sono visti come dei pre-zoliani. Lo scrivere è in funzione democratica, serve a dare spazio ai ceti inferiori e c’è comunque anche il carattere scientifico. La loro posizione è un momento di passaggio tra Madame Bovary di Flaubert e i Rougon Macquart di Zola. Parlano di temi tratti dalla realtà, molti dei quali si ritrovano anche in istanze della Scapigliatura e del Verismo, anche se nei due autori non vi è l’istanza dell’impersonalità. Nella prefazione di Germiny (1865) alcune cose ricordano la prefazione di Eva (1873). Si dice che il pubblico ama i romanza falsi, mentre questo è un romanzo vero in quanto “viene dalla strada”; non è un...


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