Riassunto L\'uomo Artigiano PDF

Title Riassunto L\'uomo Artigiano
Author Silvia Risi
Course Metodologia della formazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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L’UOMO ARTIGIANO C’è un’idea diffusa secondo cui le persone che fabbricano cose di solito non capiscono quello che fanno. Da questa idea Hannah Arendt propone la sua distinzione tra homo faber e animal laborans, entrambe figure dell’essere umano al lavoro. L’animal laborans è la persona che fatica, come una bestia, condannata alla routine; è immersa in un compito che chiude fuori il mondo. Egli è amorale, immerso nel compito da eseguire ciecamente. Si chiede “come” fare una cosa. L’ homo faber è invece la figura dell’uomo che costituisce la vita in comune, è l’uomo in quanto artefice e creatore; è il superiore dell’ animal laborans. Egli cessa di produrre e giudica e discute; si chiede il “perché” delle cose. Sennett la pensa diversamente: secondo lui l’animal laborans è capace di pensiero; nel processo del fare sono contenuti già pensieri e sentimenti (attribuiti all’uomo quando cessa il lavoro). Secondo lui, se si considera in profondità il processo di produrre cose materiali, l’animal laborans può diventare la guida dell’homo faber. Le persone infatti possono apprendere informazioni su di sé attraverso le cose che fabbricano. Nell’artigiano c’è il senso di pace e di calma che promana dal lavoro ben regolato e disciplinato svolto con animo tranquillo e appagato. L’artigiano opera un pacato, costante apprezzamento per oggetti fatti e concepiti con perizia. Tutti condividiamo pressappoco nella stessa misura le capacità grezze che ci consentono di diventare bravi artigiani; è nella motivazione e nell’aspirazione alla qualità che le strade degli uomini si dividono. La motivazione infatti è un fatto importante più del talento nel realizzare la perizia dell’artigiano. L’aspirazione alla qualità spinge l’artigiano a migliorare sempre, a non accontentarsi di risultati “passabili”. Questa aspirazione alla qualità si scontra con l’imperativo morale di lavorare per il bene della comunità e con la competitività presenti in ogni ambito lavorativo. In qualsiasi azienda le persone o i gruppi che sono messi in competizione e sono premiati se fanno meglio di altri tenderanno a tenere per sé le informazioni e questo impedisce di fare un buon lavoro (opposto della sottocomunità di apprendimento). È la collaborazione che può compensare gli squilibri. La qualità può diventare un problema quando l’aspirazione alla qualità diventa un’ossessione. La ricerca della qualità richiede di imparare a usare bene l’energia ossessiva. L’ossessività sana interpella le convinzioni che la muovono. Tutti gli sforzi dell’artigiano di produrre opere di buona qualità dipendono dalla curiosità per il materiale che ha per le mani. Ciò che permette all’artigiano di resistere anche in un’epoca così tecnologica è il fatto di credere nel proprio lavoro e lo speciale rapporto diretto con i suoi materiali. L’artigiano è impegnato in un dialogo continuo con i materiali. Vi sono tre momenti in cui la nostra mente viene eccitata da essi: quando li modifichiamo, quando li contrassegniamo e quando li identifichiamo con noi stessi. L’attenzione che l’artigiano ha per i suoi materiali è totale; egli sa quando la pressione deve essere allentata, quando ritrarsi, quando spingersi oltre, quando lasciare la presa. L’atteggiamento aggressivo, antagonistico nei confronti dei materiali è controproducente. Il rapporto è così profondo che l’artigiano è assorbito dentro la cosa, non è più cosciente di se stesso e diventa la cosa su cui sta lavorando. L’artigiano è sempre un passo più avanti del materiale: egli sa già cosa diventerà nella fase successiva. La materia doveva essere pura perché le cose apparissero quello che erano. La prensione esercitata dall’artigiano sui materiali segnala in un solo gesto vigilanza, coinvolgimento e assunzione del rischio.

L’abilità è la capacità pratica ottenuta con l’esercizio. La ripetizione non è da svalutare e non è mai uguale: man mano che sviluppiamo un’abilità, il contenuto di ciò che viene ripetuto cambia. L’esercizio produce avanzamento di abilità e porta alla risoluzione dei problemi, ma inevitabilmente porta anche a farne nascere altri. Lo sviluppo dell’abilità nella ripetizione dipende da come essa è strutturata. Se la pratica è organizzata come un mezzo per raggiungere un fine prefissato, la persona che si esercita raggiungerà quel livello, ma non andrà oltre. È la relazione aperta tra soluzione e individuazione dei problemi che espande le abilità. Facendo accadere una cosa più di una volta, abbiamo un oggetto su cui riflettere. L’esercizio diventa una narrazione, anziché una mera ripetizione. I movimenti conquistati con fatica si radicano sempre più indelebilmente nel corpo; passo per passo, ci si muove verso un’abilità tecnica superiore. Quando cerchiamo di seguire ciecamente delle procedure, l’esercizio diventa noioso e la manualità tende a degradarsi. Con la ripetizione si addestrano le mani; si è vigili non annoiati, perché si sviluppa la facoltà dell’anticipazione. Quando viene strutturato come un guardare avanti, il ripetere una cosa sempre di nuovo è stimolante. La sostanza della routine può cambiare, ma il guadagno emotivo rimane l’esperienza stessa di ripetere continuamente l’azione. Questo si chiama ritmo e consta di due componenti: l’accento e il tempo, inteso come velocità di esecuzione. Le macchine intelligenti offrono all’uomo la possibilità di separare la comprensione intellettuale dall’apprendimento ripetitivo, che segue istruzioni, che usa la mano. La tecnologia moderna è impiegata male quando priva i suoi utenti appunto di tale tirocinio ripetitivo, concreto e manuale. Nel lavoro artigiano il ritmo della routine si ispira all’esperienza del gioco infantile. Il gioco può essere visto come un lavoro tecnico svolto su oggetti materiali. È qui, nel gioco, che sta l’origine del dialogo che l’artigiano ha con i suoi materiali. Tale dialogo è reso possibile dall’apprendimento della disciplina delle regole e dell’elaborazione di regole sempre più complesse. La maestria designa il desiderio di svolgere bene un lavoro per il piacere che esso comporta. All’artigiano sta a cuore il lavoro ben fatto per se stesso. Nella vita ce la si può cavare benissimo senza dedizione; l’artigiano è la figura rappresentativa della condizione umana del mettere impegno personale nelle cose che si fanno. L’abilità tecnica, quanto più progredisce, tanto più viene rivolta agli aspetti problematici dell’attività; l’artigiano si interroga, mentre le persone con livelli di abilità elementari si preoccupano essenzialmente che le cose comunque funzionino. Tre capacità fondamentali stanno alla base della perizia tecnica: la capacità di localizzare i problemi (dare concretezza alle questioni), la capacità di porsi domande su di essi e la capacità di aprirli (analizzarli ed essere aperti a fare le cose in modo diverso dal solito). La maestria tecnica è il frutto di una lotta eroica tra l’uomo e lo strumento (quando le resistenze vengono meno). Spesso diventiamo più bravi nell’usare gli attrezzi quando essi ci pongono un problema da superare, e questo avviene quando non sono perfetti, non sono ad hoc. Il problema può essere superato adattando la forma dell’attrezzo oppure usandolo in un modo non previsto. È l’imperfezione dell’attrezzo a insegnarci qualcosa. L’attrezzo polivalente consente possibilità praticamente infinite; può anch’esso espandere le nostre abilità, l’unico limite è la nostra immaginazione. L’attrezzo polivalente ci induce a esplorare più a fondo l’atto del fare riparazioni, spingendoci a immaginare ed espandere la nostra conoscenza. Ed è proprio aggiustando le cose che arriviamo a capirne il funzionamento. Sono gli attrezzi usati in un certo modo che strutturano questa possibilità dell’ intuizione. Essa scatta a partire dal sentimento che ciò che ancora non esiste potrebbe esistere. Nel lavoro tecnico, il sentimento del possibile si fonda sul senso di frustrazione per le limitazioni di un certo attrezzo; oppure è provocato dalle potenzialità non ancora verificate che l’attrezzo possiede. I quattro elementi per compiere un salto intuitivo sono: riformattazione (verificare se l’oggetto può essere usato per altri scopi), contiguità (avvicinare due cose apparentemente diverse e pensare a cosa potrebbero

avere in comune che ancora non hanno), sorpresa (nella fase iniziale c’era qualcosa di più denso di quello che si credeva), legge di gravità (benché la tecnica sia imperfetta, apre a nuovi orizzonti). Quando si lavora con gli attrezzi di lavoro è fondamentale l’immaginazione; essa può dare senso agli attrezzi polivalenti, ricchi di potenzialità inesplorate e forse pericolose. Mentre le macchine, quando perdono il controllo, si rompono, le persone fanno scoperte, inciampano in fortunati incidenti. La tecnica infatti migliora proprio grazie alle crisi che attraversa, alle resistenze che incontra. Ci sono due tipi di resistenza: quella che si trova e quindi ci blocca e quella che ci si crea intenzionalmente. Vi sono tre abilità per lavorare con la resistenza: riformattazione (pensare in modo diverso il problema), pazienza (si impara. Quando progetto faccio una stima del tempo che mi occorre, ma la resistenza obbliga ad una revisione di tutto il lavoro), capacità di identificarsi con essa (selezionare e concentrarsi sull’aspetto “modificabile”). Durante un’esecuzione, la fiducia che ti fa riprendere il controllo dopo un errore non è un tratto della personalità, è un’abilità appresa. La tecnica, dunque, si sviluppa grazie alla costante dialettica tra il modo corretto di fare una cosa e la disponibilità a sperimentare l’errore. I due aspetti non possono essere scissi. Il processo lavorativo deve sostare temporaneamente nel disordine: mosse false, vicoli ciechi. L’artigiano che esplora non si limita a imbattersi nel disordine, ma lo crea volontariamente perché lo considera un mezzo per comprendere i procedimenti del suo lavoro. Dobbiamo quindi considerare le tecniche ad hoc come un punto di arrivo, non di partenza, poiché ognuno si costruisce le proprie. Nel lavoro tecnico, ci deve essere un superiore che stabilisce i parametri di qualità e che addestra gli apprendisti; questo avviene nel laboratorio. Nell’antichità il padre biologico trasferiva al maestro artigiano la propria potestà sui figli; questo giuramento sanciva il rispetto reciproco tra padre affidatario e figlio. Come figura paterna l’artigiano aveva un ruolo semplice e chiaro, quello di ampliare gli orizzonti del ragazzo al di là dei suoi natali. Egli poteva essere affettuoso con i ragazzi a lui affidati, ma non aveva il dovere di amarli. Il laboratorio ha sempre creato vincoli tra le persone, attraverso una serie di riti, la trasmissione di saperi e attraverso la condivisione faccia a faccia di informazioni. La trasmissione delle conoscenze è però difficoltosa, poiché l’originalità del maestro impedisce tale trasmissione. Il maestro non può insegnare la genialità. Tutto quello che avviene nelle botteghe dei maestri è assorbito come sapere tacito, non detto e non codificato in parole, che diventa una questione di abitudini, quei mille piccoli gesti quotidiani che si sommano fino a formare una pratica. Il maestro è presente sempre e ovunque nel laboratorio, pronto a mettere insieme ed elaborare quelle migliaia di frammenti che non potevano avere lo stesso significato per gli assistenti, occupati a lavorare sulle singole parti. La testa del maestro si riempie di dati che solo lui poteva capire. Morto il maestro non è più possibile ricostruire gli indizi, i gesti e le intuizioni che lui aveva raccolto e coordinato in quel tutto unico che è l’opera. In teoria in un laboratorio ben diretto dovrebbe esserci equilibrio tra sapere tacito ed esplicito. Si dovrebbe insistere perché i maestri si spieghino meglio, ma “il bravo maestro impartisce spiegazioni soddisfacenti; il grande maestro turba, trasmette inquietudine, invita a obiezioni”. L’autorità dei maestri deriva dal fatto di vedere ciò che altri non vedono, di sapere ciò che altri non sanno. “Si tratta dunque di sacrificare i violini o i violoncelli di Stradivari in cambio di un laboratorio di liuteria più democratico?”. L’abilità tecnica altamente specializzata non è riducibile a un elenco dettagliato di procedure tecniche, ma rappresenta tutta una cultura formata intorno a queste operazioni. Perché cercare di recuperare l’originalità altrui? Il liutaio moderno vuole innanzitutto fabbricare violini; vuole fabbricare i violini migliori possibili secondo il proprio più o meno affiato acume, anziché imitare. Tuttavia un liutaio non può non avere in mente il suono di uno Stradivari. Ci si ispira dunque ai grandi, ma usando la propria originalità. La funzione del modello infatti è quella di stimolare a innovare, non a imitare, a trovare la propria strada. La sfida, nel lavoro tecnico, è quella di trattare il modello ideale come qualcosa che le persone possano usare autonomamente, secondo il lume della propria ragione.

La macchina in questo può aiutarci a capire qualcosa di positivo sulla nostra umanità. L’oggetto meccanico offre una proposta (fa da modello) su come si potrebbe eseguire un’operazione. Proposta vuol dire che possiamo rifletterci sopra, che non dobbiamo assumerla ciecamente. Il modello diventa uno stimolo, anziché un comando. Solo comprendendo come una cosa possa essere fatta in modo perfetto è possibile cogliere l’alternativa di creare oggetti che abbiano specificità e carattere. La perfezione del lavoro svolto dalla macchina va usata come qualcosa che mette in evidenza il volere di un altro tipo di lavoro, che si impone risultati di altro tipo. L’umanità deve sottrarsi al comando di imitare la perfezione della macchina. Contro la pretesa di perfezione la nostra individualità è ciò che conferisce il carattere distintivo al lavoro che svolgiamo, che gli dà autenticità. Sono necessarie però la modestia e una consapevolezza delle nostre inadeguatezze. Gran parte del sapere che l’artigiano possiede è sapere tacito: le persone sanno fare le cose, ma non sanno esprimere a parole ciò che sanno. Questo non significa stupidità. Il lavoro tecnico definisce una sfera di abilità e di conoscenze che forse trascende le capacità verbali dell’uomo. Il bravo artigiano è un venditore scadente, tutto assorto nel fare bene le cose, incapace di spiegare il valore di quello che fa. Il vero limite umano è il linguaggio. I limiti del linguaggio possono essere superati attraverso un coinvolgimento attivo nella pratica, quello che fa l’artigiano. Si presta un cattivo servizio all’allievo se si pretende che capisca le cose prima di applicarsi a farle. Il linguaggio è in difficoltà soprattutto quando vuole impartire istruzioni. Perché le istruzioni diventino comunicative c’è bisogno che diventino istruzioni espressive. Il movimento corporeo è fondativo del linguaggio; le categorie stesse del linguaggio sono create dagli atti intenzionali delle mani: le esperienze del toccare e dell’afferrare conferiscono al linguaggio il suo potere direttivo. Vi sono tre possibilità espressive della lingua: l’illustrazione empatica (mettersi nei panni dell’altro, tornare sulle proprie vulnerabilità per spiegare ad altri), la narrazione (assumere diverse e nuove prospettive) e la metafora. Differenza tra artigiano e artista: L’artigiano è più rivolto alla sua comunità, l’artista all’interno, su di sé. L’artista rivendicava l’originalità delle sue opere; il suo lavoro è comunque unico o distinto, mentre quello dell’artigiano è visto come una pratica più collettiva e trasmissibile. Il fine dell’artista non era la produzione di opere in genere, ma la creazione delle sue opere, delle opere della sua scuola. L’originalità conferiva un’importanza particolare alle relazioni faccia a faccia nel suo atelier. A differenza degli apprendisti artigiani, gli assistenti dell’artista dovevano rimanere fisicamente alla presenza del maestro, poichè l’originalità non è trasmissibile in una serie di regole che possano essere portate con sé. L’originalità tuttavia porta in superficie anche le relazioni di potere che si instaurano tra artista e mecenate. L’esperienza del tempo è una delle principali differenze tra artista e artigiano: l’artista ha un’apparizione improvvisa, l’artigiano lavora con la lentezza. Per costruire un’istituzione costruiremo una struttura che all’inizio assomiglia a uno schizzo, capace di evolvere, invece di pretendere una perfezione generale, tutta in una volta. Ci metteremo in relazione con le difficoltà, con le limitazioni. Capiremo quando è il momento di interrompere la costruzione dell’istituzione lasciando alcuni temi irrisolti. Fabbricare oggetti fisici fornisce spunti anche sulle tecniche che possono conformare i rapporti con gli altri. Tanto le difficoltà quanto le possibilità del fabbricare bene le cose valgono anche per la costruzione di rapporti umani. Sfide materiali come imparare a lavorare con la resistenza o gestire le ambiguità sono istruttive per comprendere le resistenze che le persone nutrono. Il ruolo positivo e aperto che la routine e l’esercizio svolgono riflettono il bisogno che le persone hanno di esercitarsi nei rapporti reciproci, di apprendere le tecniche dell’anticipazione e della revisione, per perfezionare tali rapporti.

Ciò che siamo discende direttamente da ciò che il nostro corpo sa fare; le capacità che il corpo possiede di conformare oggetti fisici sono le medesime capacità a cui attingiamo nelle relazioni sociali. L’orgoglio per il proprio lavoro è centrale nei mestieri tecnici e gli artigiani sono orgogliosi soprattutto delle abilità che maturano. Ecco perché la semplice imitazione non procura soddisfazione durevole: la bravura deve evolvere. Il tempo lento del lavoro artigiano è una fonte di soddisfazione, perché consente alla tecnica di penetrare e di radicarsi, di diventare un’abilità personale. E la lentezza favorisce le attività della riflessione e dell’immaginazione, impossibili sotto la pressione di ottenere risultati veloci. Il pragmatismo vuole sottolineare il valore del porsi domande nel corso del processo lavorativo, non dopo che le cose sul campo sono state fatte. È bene che l’uomo artigiano faccia una pausa per riflettere sulla sua attività. Queste pause non sono tempo perso. Caratteristiche dell’artigiano: - Non conosce esattamente quello che verrà fuori dal suo lavoro. Ha la volontà di fare una cosa bene per la cosa in sé. - Attribuisce valore positivo alle limitazione e alle resistenze. - Tollera una dose di incompletezza, decide di lasciare aspetti irrisolti. - La bellezza sta nel particolare più che nel progetto generale. - Impara a capire quando è il momento di smettere per non peggiorare l’opera. - Ispirato ai modelli ma non copia. - Deve essere paziente, evitare le scorciatoie, le soluzioni di ripiego. Le mani dolenti e callose rappresentano il segno virtuoso dell’essere in contatto con la vita vera....


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